Può avere un senso parlare di Yin Yoga e Yang Yoga? A seconda delle prospettive le parole possono costituire limiti, barriere, gabbie oppure prestarsi da un punto di vista meramente didattico a fornirci uno strumento di comprensione.
Innanzitutto, i termini yin e yang ci rimandano alla sfuggente filosofia del Tao, il taoismo.
Con riferimento al corpo (e non solo) è possibile declinare i principi del Tao in questo modo:
- Yin: la sua essenza è l’arrendevolezza, accetta il mondo così com’è, senza la smania di cambiarlo, adattarlo, migliorarlo. Nella pratica yin i tessuti più superficiali ed i muscoli si rilassano, mentre il focus è costituito dai tessuti più densi, profondi, più plastici e meno elastici, come i legamenti, le capsule articolari, la cartilagine, le ossa e le reti fasciali del corpo.
- Yang: la sua natura è attiva ed esprime il coraggio e lo slancio necessari a cambiare il mondo. Nella pratica yang l’obiettivo sono i muscoli, il loro rafforzamento e/o allungamento.
Abbinare una pratica yin ad una yang può essere funzionale in una società iper competitiva come la nostra, in cui le diverse forme di arrivismo (anche sul tappetino da yoga) sono all’ordine del giorno. Una certa modalità che impone un’immagine stereotipa di bellezza ed atleticità fa presa facilmente su tutti noi, consumatori di beni e di fantasie spirituali. E’ bene quindi tentare un bilanciamento, imparando che non lottare è un’opzione possibile, che lasciar andare può essere un eroico gesto di liberazione.
Nel corso della vita, al fine di cercare conferma al fatto di esistere, creiamo delle resistenze (nel corpo e nella mente) contro le quali lo scorrere naturale del tutto (il Tao è la via dell’acqua che scorre) si infrange, creando piccole o grandi sofferenze. La nostra incessante lotta contro il mondo esterno, il nostro perpetuo combattere, appare evidente non appena portiamo vera attenzione al corpo, alla posizione, alle infinite tensioni muscolari che albergano in noi.
“Non essere consapevole dei propri piedi presuppone che le scarpe siano comode. Non essere consapevole della propria cintola implica che la cintura sia comoda. Il fatto che l’intelligenza non sia consapevole di positivo e negativo implica che il cuore si trovi a suo agio… E colui che, iniziando a proprio agio, non si trova mai a disagio, non consapevole della comodità dell’agio.” – Chuang-tzu
I tre principi fondanti dello Yin Yoga
- Incontrare i propri limiti: in qualsiasi postura concedersi l’esplorazione fino al punto in cui si sente una significativa resistenza nel corpo. Una volta incontrato il proprio limite semplicemente sostare, sentire, assaporare. Cercare di andare rapidamente più in profondità nutre esclusivamente il proprio sé limitato, il proprio ego. E se dopo un po’ il corpo invita ad andare oltre, allora si accetta l’invito fino ad incontrare il limite successivo, disponibili ad una nuova eventuale apertura, ma anche alla necessità di un ritorno. Scopo dello Yin Yoga infatti non è la comodità, bensì la scoperta dei margini estremi di quella che è la propria zona di comfort. Gran parte del beneficio della pratica verrà dal rimanere in questa zona di disagio, nonostante le richieste urgenti della mente di andarsene, di muoversi, di fare qualsiasi altra cosa che non sia restare.
- Risolversi a stare fermi: una volta trovato il limite e stabilizzati nella posa si sta, senza muoversi, indipendentemente dagli impulsi che dovessero sorgere nella mente o dalle sensazioni nel corpo. Con due eccezioni: qualora insorga dolore o si sia in lotta per mantenere la posa oppure qualora il corpo si renda disponibile ad andare più a fondo nella postura. Questo è il momento della quiete del corpo (mantenere i muscoli molto calmi permette che l’effetto di un profondo allungamento coinvolga le articolazioni), della tranquillità del respiro (silenzioso, lungo, uniforme e profondo) e della calma della mente (il cui sorgere non può che essere spontaneo).
- Mantenere (durata): una volta raggiunti i propri limiti e realizzata la stabilità tutto ciò che rimane da fare è restare. I tessuti profondi cui si rivolge la pratica yin non sono elastici, ma plastici e quindi richiedono una moderata intensità di trazione di lunga durata per essere stimolati correttamente (di contro non rispondono allo stress massimo per un breve periodo). Le posizioni Yin sono generalmente assunte per almeno un minuto e fino a venti, ma un mantenimento da tre a cinque minuti può essere considerato una media adeguata.
Yin e Yang Yoga non vanno chiaramente collocati su una scala di valori. Non c’è qualcosa che possa essere considerato in assoluto meglio di qualcos’altro. Tuttavia, mediamente, le persone attive amano fare yoga dinamico (ma probabilmente avrebbero bisogno dello Yin Yoga più di chiunque altro). Le persone meno attive prediligono forme di yoga rilassante (ma probabilmente avrebbero bisogno di pratiche Yang più di chiunque altro). Il suggerimento? Ancora una volta quello di uscire dalla propria zona di comfort. E così il cerchio (quello del Tao) si chiude.
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