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Vijñāna Bhairava – Dhāranā 3 – Śloka 26

La terza delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) si manifesta quando si è così immersi nel centro energetico che il pensiero discorsivo, il chiacchericcio mentale che ci abita costantemente, finalmente si placa, fino a scomparire. Si è semplicemente presenti in questo spazio centrale aperto e vibrante, senza pensare, in uno stato di sospensione del respiro. Quando l’attenzione si concentra su questo centro e i pensieri (vikalpa) si dissolvono, tutto si sospende, permettendo di percepire la beatitudine (ananda), la realtà più intima di ogni cosa, situata nel punto più profondo e protetto, il centro dell’essere.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

26. La potenza propria del soffro vitale più non esce, più non entra, dischiusosi che sia il punto di mezzo, in virtù dell’assenza di ogni pensiero discorsivo. Grazie ad essa si invera la condizione di Bhairava.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue: Il kumbhaka o ritenzione dei soffi vitali è il terzo momento del prānāyāma, la regolazione yoghica della respirazione. Lo yogin, ritmando e rallentando il movimento del respiro, compie tre operazioni: inspirazione (pūraka), espirazione (recaka) e ritenzione (kumbhaka).
La respirazione è connessa coi diversi stati mentali ed è quindi uno dei mezzi principali a nostra disposizione per intervenire su di essi: in altre parole, ogni stato di coscienza può essere esperito, conosciuto, penetrato e controllato con una adeguata regolazione della respirazione.
Tale pratica porta ad una costante consapevolezza ed attenzione alle modalità del nostro pensiero e della nostra psiche: alla fine, si ha l’inverarsi dello stato supremo.

26. L’energia del respiro non dovrebbe né uscire né entrare; quando il centro si dischiude con la dissoluzione dei pensieri, allora si raggiunge la natura di Bhairava.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Quando stabilisci la focalizzazione nella vena centrale (susumnā) […] l’energia del respiro non esce né entra, perché […] questa vena centrale è già mantenuta in un solo punto. […] Questo è śāmbhavopāya […] nessuna recitazione del mantra e nessuna oggettività in quella coscienza. È una consapevolezza spontanea e centrata. Non c’è supporto dei due vuoti, non c’è dualità.

26. Quando lo stato di mezzo si sviluppa per mezzo della dissoluzione di tutti i costrutti di pensiero dicotomizzanti1 prāna-śakti nella forma di espirazione (prāna) non esce dal centro (del corpo) verso dvādaśānta2, né quella śakti sotto forma di inalazione (apāna) entra nel centro da dvādaśānta. In questo modo per mezzo di Bhairavī che si esprime sotto forma di cessazione di prāna (espirazione) e apāna (inalazione), lì emerge lo stato di Bhairava3.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. In questa dhāranā, prāna (espirazione) e apāna (inalazione) cessano e madhya daśā si sviluppa cioè prānaśakti in susumnā si sviluppa per mezzo di nirvikalpabhāva, cioè con la cessazione di tutti i costrutti di pensiero; quindi viene rivelata la natura di Bhairava.
Sivopādhyāya nel suo commento dice che il nirvikalpabhāva è il risultato di Bhairavī mudrā in cui anche quando i sensi sono aperti verso l’esterno, l’attenzione è rivolta verso l’interno allo spanda interiore o pulsazione della coscienza creativa che è la base e il supporto di tutte le attività mentali e sensuali, quindi tutti i vikalpa o costrutti di pensiero cessano. Il respiro non esce, né entra, e la natura essenziale di Bhairava viene rivelata.
2. Dvādaśānta significa una distanza di 12 dita nello spazio esterno misurata dalla punta del naso.
3. La differenza tra la precedente dhāranā e questa sta nel fatto che mentre nella precedente dhāranā, madhya daśa si sviluppa attraverso la consapevolezza focalizzata delle pause di prāna e apāna , nella presente dhāranā, madhya daśa si sviluppa per mezzo di nirvikalpabhāva. […]

Oppure, ogni volta che l’inspirazione e l’espirazione si fondono, in questo istante tocca il centro privo di energia, pieno di energia.

Il libro dei segreti – Osho – Bompiani, 2013
Commentato come segue: […] Noi siamo divisi in centro e periferia. Il corpo è la periferia; noi conosciamo il corpo, conosciamo la periferia, conosciamo la circonferenza, ma non sappiamo dove sia il centro. Quando l’espirazione si fonde con l’inspirazione, quando diventano tutt’uno, quando non sei in grado di dire se si tratta di un’espirazione o di un’inspirazione, quando è difficile demarcare e definire se il respiro stia entrando oppure uscendo, quando il respiro è penetrato e comincia a uscire, in quell’attimo esiste una fusione: il respiro non esce né entra, è statico.[…] Il punto di fusione tra il respiro che entra e quello che esce è il tuo centro. […] Il respiro va costantemente al centro e ne esce, ma noi non respiriamo mai intensamente, per cui, normalmente, il respiro non tocca mai il nostro centro, non al giorno d’oggi, perlomeno. Ecco perché oggigiorno ci se sente tanto “scentrati”.

Sulla relazione tra respiro e attività del pensiero come conoscere differenziato (vikalpa), possiamo attingere da altre fonti autorevoli che ribadiscono i contenuti del nostro tantra:

Infatti, non essendovi più sorgere di nuovi movimenti respiratori, non può logicamente esservi neppure più molteplicità di conoscere, la quale è generata dalla molteplicità del tempo.

Luce delle sacre scritture (Tantrāloka) di Abhinavagupta, VII, 23 b-24 (a cura di Ranierio Gnoli) – UTET

17. Dalla dilatazione del centro si ha il conseguimento della beatitudine della Coscienza.

L’autocoscienza jivaica astratta dalle proprie sovrapposizioni velanti si fonde nella Coscienza pura di Paramaśiva perdendo per sempre qualsiasi limitazione. Lo yogin deve prima raccogliere la consapevolezza dispersa nella sfera sensoriale, in quella mentale, ecc., poi concentrarla nel punto focale centrale, quindi fissare tale posizione mantenendola scevra da qualsiasi appoggio o riferimento e alimentandola incessantemente fino a che, nel giusto tempo, il suo stesso essere-coscienza si risolve in modo del tutto spontaneo nella infinita spazialità adimensionale della Coscienza di Paramaśiva.

Pratyabhijñāhrdayam di Ksemaraja – Traduzione dal sanscrito, presentazione e note a cura di Kevalasangha

Alcuni “metodi” del Vijñāna Bhairava, come quello qui presentato, sembrano alludere ad esperienze che sorgono spontaneamente sul sentiero della meditazione, dove il respiro si fa sempre più sottile, avvicinandosi al nucleo più intimo del proprio essere, fino a fermarsi spontaneamente, insieme all’ideazione della mente, innescando l’espansione del centro (che denota sia il canale centrale che la consapevolezza-presenza che è il nucleo del proprio essere) e svelando lo “stato di Bhairava”, quest’ultimo essendo uno stato di vuoto profondamente immobile che è paradossalmente riempito con la quieta intensità della pura Presenza.

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Vijñāna Bhairava – Dhāranā 2 – Śloka 25

La seconda delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) ci invita ad assaporare il riposo a pieno, alla fine dell’inspirazione, ed il riposo a vuoto, al termine dell’espirazione. Si tratta di occasioni concrete e sempre disponibili di incontrare la tranquillità. E se l’inspiro crea il mondo e l’espiro lo dissolve, tra i due vi è una pausa che è un vuoto vibrante, pieno di vita sottile, che può apparire come un abisso, ma che è invece l’essenza stessa della Presenza. Si tratta dello sfondo da cui tutto prende origine e in cui tutto si inabissa. E’ il supporto su cui tutto poggia, espressione di pura libertà.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

25. Grazie al non ritorno del soffio vitale dai due eteri, fuori e dentro, si manifesta così, o Bhairavī, il corpo di Bhairava, di Bhairavī.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue: […] Con l’espressione «fuori e dentro» ci si riferisce rispettivamente alla pausa del prāna nello dvādaśānta, esterno al corpo, e dell’apāna nel cuore, dentro il corpo. Il cuore e lo dvādaśānta sono concepiti come due eteri, spazi vuoti, simili ad un cielo senza macchia.

25. O Bhairavī, focalizzando la propria consapevolezza sui due vuoti (alla fine) del respiro interno ed esterno, così la forma gloriosa di Bhairava viene rivelata attraverso Bhairavī.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: […] Quando si mantiene la consapevolezza ininterrotta in questi due vuoti, internamente ed esternamente (c’è il vuoto interno e quello esterno) [la forma gloriosa di Bhairava viene rivelata]

25. Del respiro (espirazione o prāna) che nasce dall’interno, cioè dal centro del corpo (hrt) non c’è ritorno per una frazione di secondo dal dvādaśānta (una distanza di dodici dita dal naso nello spazio esterno), e del respiro (inspirazione o apāna che nasce da dvādaśānta, cioè dallo spazio esterno, non c’è ritorno per una frazione di secondo dal centro del corpo (hrt).1 Se si fissa la mente costantemente su questi due punti di pausa, si scoprirà che Bhairavī, la forma essenziale di Bhairava, si manifesta in quei due punti.2

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. La pausa di prāna nel dvādaśānta è nota come bahih kumbhaka o pausa esterna. La pausa dell’apāna nel centro interno del corpo è nota come antah kumbhaka o pausa interna. Con l’anusandhāna o consapevolezza unidirezionale di queste due pause, la mente diventa introversa e l’attività sia di prāna che di apāna cessa, e c’è la risalita di madhya daśā, cioè il percorso del madhya nādi o susumnā diventa aperto.
2. Se si osservano mentalmente le due pause di cui sopra, si realizza la natura di Bhairava. Questo è ānava upāya in quanto questo processo coinvolge dhyāna o meditazione sui due kumbhaka o pause di prāna e apāna.

Come il respiro volge dal basso verso l’alto, ed ancora come curva dall’alto verso il basso – tramite entrambe queste svolte, realizza.

Il libro dei segreti – Osho – Bompiani, 2013
Commentato come segue: […] il respiro che entra è la metà di un cerchio, quello che esce è l’altra metà. Perciò comprendi: primo, l’inspirazione e l’espirazione creano un cerchio. Non sono due linee parallele, perché le linee parallele non si incontrano mai. Inoltre, non si tratta di due respiri, ma di uno solo. E’ lo stesso respiro che entra e poi esce, dunque, all’interno, deve esistere un punto di svolta: deve esistere un punto in cui li respiro entrante diventa uscente. […] Se sai guidare un’automobile, sai che ha le marce. Ogni volta che cambi marcia, devi mettere in folle, che non è affatto una marcia. […] Questa “messa in folle” è il punta di svolta […] Allo stesso modo, quando il respiro entra, e poi compie una svolta, è in folle; altrimenti non potrebbe svoltare! Passa per un territorio neutrale. In quel territorio non sei né corpo né anima, né fisico né mente, perché il fisico è una marcia del tuo essere, come pure la mente. Tu continui a passare da una marcia all’altra, ma devi per forza avere una messa in folle in cui non sei né corpo né mente. In quel “folle” semplicemente esisti: sei solo esistenza, pura, semplice, disincarnata, senza mente.

25. Se ci si esercita senza interruzione sulla coppia degli spazi vuoti, interno ed esterno, dei soffi inspirato ed espirato, l’essenza di Bhairava, che non differisce da Bhairavī, si rivela.

La via del reale. Yoga tantrico – Ritorno a sé – Nathalie Delay – OM, 2023
Commentato come segue: […] Assaporare il gusto particolare dell’inspirazione, poi dell’espirazione. Senza sforzo lasciar allungare e approfondire l’espirazione. Alla fine dell’espirazione, senza bloccare, il soffio si sospende naturalmente. Tocchiamo un istante di pura tranquillità.
Il tempo lineare si arresta. Abbiamo la sensazione di fare un salto nell’eternità. Poi l’onda del respiro riprende. Il corpo si riempie, si espande. Ricevere l’inspirazione. Quando termina, sentire la pienezza, senza attaccamento. Lasciare che l’onda ridiscenda, che il corpo si svuoti. Prendersi il tempo, e poi posarsi nel vuoto che segue, per percepirne il gusto delicato.

Ancora una volta l’invito è a praticare, secondo la propria sensibilità.

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Vijñāna Bhairava – Dhāranā 1 – Śloka 24

Riconoscere che siamo già realizzati, in quanto forma del divino che si manifesta, può sembrarci un obiettivo irraggiungibile e vagamente autoreferenziale. Ma le 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) ci guidano nello svelamento di questa perfezione nascosta dalla “densità” del reale. Prendiamo in considerazione la prima di queste dhāranā, attingendo a varie traduzioni e commenti.

  1. In alto il soffio ascendente, in basso il soffio discendente. [Il soggetto che] proferisce [è la stessa] Dea, essenziata di emissione. Nel luogo della duplice nascita, si ha, in ragione dell’onnicomprensione, lo stato onnicomprensivo.
Vijnana bhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue: L’emissione (visarga), corrispondente nell’alfabeto sanscrito all’inspirata muta H e qui identificata con la Dea, è il principio che dà origine al movimento respiratorio, costituito dal prāna, il soffio che ascende durante l’espirazione dal cuore allo dvādaśānta, e dall’apāna, il soffio che discende durante l’inspirazione dallo dvādaśānta al cuore.
Il visarga ha, nelle scuole śivaite, molteplici sensi e connotazioni: 1) visarga, metafisicamente, è l’emissione divina, l’atto della creazione; 2) visarga, fisicamente, è l’emissione seminale; 3) visarga, fonicamente, è l’emissione muta H, che simboleggia l’emissione o creazione del tutto.
Con l’espressione “luogo della duplice nascita” ci si riferisce al cuore e allo dvādaśānta, nei quali nascono e si estinguono i due soffi vitali, il prāna e l’apāna.
Nel momento in cui l’un soffo si è estinto e l’altro non è ancora sorto, cioè nel momento iniziale precedente ogni inspirazione ed espirazione, può inverarsi, nello yogin, un’esperienza o stato di coscienza di pienezza, « onnicomprensione», che contiene dentro di sé tutti i successivi movimenti della coscienza.
  1. Bhairava rispose: L’espirazione (prāna) dovrebbe ascendere e l’inspiro (jīva) dovrebbe discendere, (entrambi) formando un visarga (composto da due punti). Il loro stato di pienezza (si trova) fissandoli nei due luoghi di (loro) origine.
Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Bhairavasya sthitih syāt: uno diventa uno con Bhairava a causa della Sua pienezza. Questo è collegato con ānavopāya. Non può essere śaktopāya o śāmbhavopāya, è ānavopāya, perché funziona nel campo oggettivo della coscienza. Devi portare il respiro dal cuore a dvādaśānta e riportarlo dal dvādaśānta al cuore nuovamente e recitare prāna e jīva. Recitare prāna significa recitare “sa” nel dvādaśānta esterno e amkāra di “ha” sarà recitato nel cuore. Quando il tuo respiro entra, finirà in “am”, quando lo espelli, finirà nel visarga: “sah” e se ti concentri su questi due punti di partenza, diventerai uno con Bhairava a causa della Sua pienezza. [Questo costituisce il mantra so’ham, “Io sono Lui”.] Questo è ānavopāya.
  1. Bhairava dice:
    Para devi o Śakti Suprema che è della natura di visarga1 continua (incessantemente) a esprimersi verso l’alto (ūrdhve) (dal centro del corpo a dvādaśānta2 o una distanza di dodici dita) sotto forma di espirazione (prāna) e verso il basso (adhah) (da dvādaśānta al centro del corpo) sotto forma di inspirazione (jīva o apāna)3. Con la fissazione costante della mente (bharanāt)4 nei due luoghi della loro origine (vale a dire, centro del corpo nel caso di prāna e dvādaśānta nel caso di apāna), c’è la situazione di pienezza (bharitāsthitih che è lo stato di parāśakti o natura di Bhairava)5.
Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Visargātmā – che è della natura di visarga. La parola visarga significa lasciar andare, proiezione o creazione, cioè chi è creativo. La funzione creativa del Divino include due movimenti: verso l’esterno e verso l’interno o centrifugo e centripeto. Negli esseri viventi, il movimento verso l’esterno o centrifugo è rappresentato dall’espirazione o esalazione; il movimento verso l’interno o centripeto è rappresentato dall’inspirazione o dall’inalazione. Parā o parā devī o Parā śakti è designato come visargātmā, perché è con questo ritmo di movimento centrifugo e centripeto che porta avanti il ​​gioco della vita sia nel macrocosmo che nel microcosmo. Questo movimento è noto come uccāra o spandana o incessante pulsare di Parādevī. In sanscrito, visarga è rappresentato da due punti uno sopra l’altro. Un punto in questo caso è dvadasanta dove termina prana e l’altro è hrt o centro del corpo dove termina apāna. È per questi due punti che Parāśakti è conosciuta anche come visargātmā.
2. Dvādaśānta, che letteralmente significa “fine di dodici”, indica il punto a una distanza di 12 dita dalla punta del naso nello spazio esterno dove termina l’espirazione che nasce dal centro del corpo umano e passa attraverso la gola e il naso. Questo è noto come bāhya dvādaśānta o dvādaśānta esterno.
3. L’apāna o inalazione è chiamata jīva, perché è l’inalazione o il movimento di ritorno del respiro che è responsabile della vita.
4. Bharanāt qui significa tramite osservazione ravvicinata o consapevolezza univoca. Consapevolezza di cosa? Sivopādhyāya nel suo commento chiarisce questo punto nel modo seguente:”Bharanāditi qui significa con un’intenta consapevolezza di ciò che implicitamente è il lampo iniziale sempre risorto della śakti di Bhairava.”
5. La dhāranā o la pratica yogica a cui si fa riferimento in questo verso è la seguente:
Ci sono due punti o poli tra i quali la respirazione continua costantemente. Uno di questi è dvādaśānta nello spazio esterno dove prāna o espirazione finisce e l’altro hrt o il centro all’interno del corpo dove apāna o inspirazione finisce. In ognuno di questi punti, c’è viśrānti o riposo per una frazione di secondo. Il respiro non si ferma effettivamente lì del tutto, ma rimane nella forma di un palpito di śakti in animazione sospesa e poi di nuovo inizia il processo di respirazione. Si dovrebbe contemplare śakti che appare nel periodo di riposo e si dovrebbe rimanerne consapevoli anche mentre inizia il processo di respirazione. Con la pratica costante di questa dhāranā si realizzerà lo stato di pienezza di Bhairava (bharitā sthitih).
Poiché questa pratica è senza alcun supporto di vikalpa, è Śāmbhava upāya.
C’è un’altra importante interpretazione di questa dhāranā. Nell’inspirazione, viene prodotto il suono ha; nell’espirazione, viene prodotto il suono sah; nel punto di giunzione al centro si aggiunge il suono m. Quindi l’intera formula diventa Hamsah. Parādevī continua a suonare questa formula o mantra incessantemente in ogni essere vivente. Hrdaya o il centro è il punto di partenza del suono ha e dvādaśānta è il punto di partenza del suono sah. Contemplando questi due punti, si acquisisce la natura di Bhairava. Questo sarebbe ānava upāya. Sah rappresenta Śiva; ha rappresenta Śakti; m rappresenta nara. Quindi in questa pratica, tutti e tre gli elementi principali della filosofia Trika, vale a dire, Śiva, Śakti e Nara sono inclusi.

O radiosa, questa esperienza può albeggiare tra due respiri. Dopo che il respiro è venuto dentro e appena prima che si rivolga in su – il beneficio.

Il libro dei segreti – Osho – Bompiani, 2013
Commentato come segue: Quando inspiri, osserva. Per un solo istante, per un attimo infinitesimale, non c’è respiro: prima che risalga, prima che fuoriesca. Un respiro entra, poi c’è un punto in cui si arresta. Poi il respiro fuoriesce e allora, per un istante, un attimo infinitesimale, si arresta. Poi di nuovo entra. Prima che il respiro entri, o prima che esca, vi è una frazione minima di tempo in cui non stai respirando. In quell’istante può accadere l’evento trascendente, perché quando non respiri, non sei nel mondo. Lo si deve comprendere profondamente: quando non stai respirando, sei morto; tu esisti, questo è vero, ma come fossi morto. Ma quell’istante è di così breve durata che non lo si nota mai. Per il Tantra ogni respiro che fuoriesce è una morte, e ogni nuovo respiro è una rinascita. Il respiro che entra è una rinascita, quello che fuoriesce è una morte. Il respiro che esce è sinonimo di morte, quello che entra, di vita.
Perciò con ogni respiro muori e rinasci. L’intervallo tra i due è molto breve, ma un’acuta, sincera osservazione e un’attenzione cosciente te lo faranno percepire. Se riesci a percepirlo, dice Shiva: “Il beneficio”. In quel caso non dovrai fare nient’altro: la beatitudine ti avvolge, hai compreso, hai colto l’eterno. Non occorre educare il respiro. Lascia che scorra liberamente. E’ sufficiente una tecnica così semplice per conoscere la verità?
Sembra semplice! Conoscere la verità significa conoscere ciò che non è nato e che non muore mai, conoscere quell’elemento eterno che esiste sempre. Comunemente si conosce il respiro che esce e che entra, mai l’intervallo tra i due. Prova. All’improvviso comprenderai, è possibile: esiste già. Non devi aggiungere nulla a ciò che sei: tutto è già presente, tranne una sottile consapevolezza. Per praticare questa tecnica, per prima cosa diventa consapevole del respiro che entra. Osservalo. Dimentica ogni cosa: osserva solo il respiro che entra. Sentilo, quando tocca le tue narici. Poi lascialo discendere e muoviti con esso in piena coscienza. Non perderlo, mentre discende: scendi con esso. Ricordati solo di non precederlo e di non restare indietro. Devi solo accompagnarlo. Ricordati: muoviti in simultanea! Respiro e coscienza devono diventare un tutt’uno. Quando il respiro entra in te, anche tu dovresti entrare dentro di te, solo così sarà possibile cogliere il punto d’arresto tra i due respiri. Non sarà facile. Entra con il respiro, poi esci con il respiro: dentro-fuori, dentro-fuori. Fu il Buddha, in particolar modo, a usare questo metodo, pertanto nel mondo lo si conosce come un metodo buddista. Nella terminologia buddista è noto come anapanasati yoga.

L’energia suprema, la cui natura è creare, si manifesta nella respirazione. Mantieni la mente nei due punti di origine dell’inspirazione e dell’espirazione e conosci la pienezza.

La via del reale. Yoga tantrico – Ritorno a sé – Nathalie Delay – OM, 2023

Non rimane che l’invito a praticare, secondo la propria sensibilità.

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Vijñānabhairava Tantra

Il Vijñānabhairava Tantra è un testo tantrico non dualista (Āgama) fondamentale nella scuola Trika presso lo Śivaismo del Kashmir. Maestri di questa tradizione come Somānanda, Abhinavagupta e Ksemarāja lo hanno tenuto in massima considerazione.

Come suggerisce il nome, questo testo appartiene al gruppo di Āgama chiamato Bhairavatantra, laddove Bhairava “il Terribile” è la manifestazione irosa di Śiva “il Tranquillo”.

Il titolo del testo è stato variamente tradotto come “La conoscenza (mistica) della Realtà Ultima”, ma anche “la conoscenza del Tremendo” e “tantra della conoscenza suprema”. Vijñāna implica qui la conoscenza esperienziale, pura coscienza, consapevolezza, piuttosto che conoscenza analitica. Bhairava è il nome dato all’Assoluto, alla Realtà Ultima, in questa tradizione.

Il nome Bhairava si deve a questo, che

a) Egli porta il tutto ed è da esso portato, empiendolo e sorreggendolo da un lato e parlandolo, cioè pensandolo, dall’altro; che

b) protegge coloro che hanno paura della trasmigrazione; che

c) nasce nel cuore dal grido d’aiuto, dal cogitare generato dalla paura della trasmigrazione; che

d) suscita, per mezzo di una caduta di potenza, l’idea della paura della trasmigrazione; che

e) riluce in coloro la cui mente è tutta intesa alla concentrazione (chiamata) “divorazione del tempo”, in coloro cioè che provocano l’esaurimento dell’essenza del tempo, il motore delle costellazioni; che

f) è il signore delle potenze che presiedono agli organi di senso, il cui grido spaventa le anime decadute, le quali si trovano in stato di contrazione, e della schiera quadruplice delle Eterovaghe, ecc. che risiedono interiormente ed esteriormente; che

g) è il Signore che pone termine all’andamento della trasmigrazione e perciò è grandemente terrifico.

Tali i significati, convenienti invero alla sua natura, menzionati dai maestri nelle loro scritture a proposito del nome Bhairava.

Tantrāloka di Abhinavagupta (a cura di Reniero Gnoli) I, 96-100a

Un Āgama śaiva completo consiste normalmente di quattro parti (pāda), destinate rispettivamente al rito (kriyā), alla conoscenza o filosofia (vidyā, jñāna), alla condotta o modo di vita (caryā) e alla pratica spirituale (yoga). Il Vijñānabhairava però si occupa solo dello yoga e lo sfondo filosofico è presupposto ma non spiegato. Il testo è formulato nella modalità del dialogo tra Bhairava e Bhairavī, o Śiva e Śakti. La dea, e con lei ogni ricercatore, chiede la grazia al suo Signore affinché recida i suoi dubbi e le consenta di giungere a realizzare la trascendenza stessa dell’Assoluto.

Devi chiede: “Qual è la tua realtà, mio Signore?. Lui non risponderà, al contrario offrirà una tecnica, e se Devi la sperimenterà a fondo, saprà. La risposta è quindi indiretta, non è immediata, Śiva non dirà chi è, ma darà una tecnica: sperimentala e saprai. Per il Tantra fare è sapere, e non esiste altra conoscenza. A meno che tu non faccia qualcosa, a meno che tu non cambi, a meno che non abbia una diversa prospettiva da cui guardare, con cui guardare, a meno che non ti muova in una dimensione completamente diversa dall’intelletto, non c’è alcuna risposta.

Il libro dei segreti, Osho

Il Vijñānabhairava insegna 112 metodi, o dhāranā, di concentrazione e di unione con l’Assoluto, ciascuno dei quali esprime una via abbreviata per raggiungere l’inesprimibile, conforme alla tradizione immediata ed in contrasto con le esigenze di una graduale e complessa purificazione etica propugnata da altre scuole e tradizioni.

È innanzitutto uno yoga dell’azione nel mondo dei sensi. Per il tantrika non c’è più scissione tra vita mistica e vita fenomenica […] L’ascesi non è più allora intesa come un ritiro dal mondo fenomenico che permetterebbe l’accesso a una purezza divina, ma al contrario come un’immersione integrale in ciò che la vita ha di più palpitante. I metodi dello yoga tantrico esposti nel Vijñānabhairava sono quelli che ci permettono di assaporare l’essenza divina delle cose […] Tutto, per il tantrika, è saturo di essenza divina. Niente è da evitare, niente da cercare. Lo yogin gode di una libertà assoluta […] da ogni limitazione concettuale, da ogni dogma, da ogni credenza.

Tantra Yoga, Daniel Odier

Secondo Ksemarāja il Trika è la rivelazione ultima delle diverse scuole tantriche. Trika, o la scuola triadica, implica le tre categorie ultime Śiva (Signore), Śakti (la sua Energia) e Nara (gli esseri creati, o Uomo). Si riferisce anche alle tre Energie di Śiva: la Suprema (parā, trascendente), suprema-non-suprema o trascendente-immanente (parāparā) e l’immanente o non suprema (aparā).

Secondo la manifestazione triadica di Śakti ai tre livelli sopra menzionati (parā, parāparā, aparā) ci sono anche diversi modi e mezzi (upāya) per realizzare Śiva che sono classificati secondo lo schema di Trika come:

  • i mezzi individuali o inferiori (ānava, corrispondenti ad anu e aparā),
  • i mezzi di Energia (śākta, corrispondenti a śakti e parāparā)
  • e il modo divino (śāmbhava, corrispondente a Śiva e parā).

Questi upāya che troviamo sistematizzati da Abhinavagupta nel suo Tantrāloka, possono essere applicati ai diversi metodi di yoga descritti nel Vijñāna Bhairava, anche se non sono esplicitamente menzionati come tali.

Fonti:

  • Vijñānabhairava – La conoscenza del Tremendo, a cura di Attilia Sironi, Piccola Biblioteca Adelphi
  • Vijñāna Bhairava – The Practice of Centring Awareness, Swami Lakshman Joo, Indica
  • La dottrina della vibrazione nello śivaismo tantrico del Kashmir, Mark S.G. Dyczkowski, Adelphi
  • Gli aforismi di Śiva, Vasugupta, a cura di Raffaele Torella