filoṡofìa s. f. [dal lat. philosophĭa, gr. ϕιλοσοϕία, comp. di ϕιλο- «filo-» e σοϕία «sapienza»]. – 1. Nella tradizione occidentale, termine che, a partire da un primo sign. di desiderio di cultura e di conoscenza in generale, si specifica, già all’epoca della filosofia classica greca, come quell’attività del pensiero (identificantesi con il filosofare) che tende a ricercare quanto rimane stabile in ogni esperienza e costantemente valido come criterio dell’operare, finendo quindi con l’indicare il risultato stesso della ricerca: di qui il significato di forma di sapere che tende a superare ogni conoscenza settoriale per attingere ciò che è costante e uniforme al di là del variare dei fenomeni, al fine di definire le strutture permanenti delle realtà di cui l’uomo ha esperienza e di indicare norme universali di comportamento. Più in partic., con Aristotele, è specificamente la ricerca dei principî e delle cause prime e trova il suo vertice nella f. prima (detta più tardi metafisica), cioè nella scienza speculativa superiore alla fisica e alla matematica, avente per oggetto ciò che è eterno, immobile, separato, ovvero l’essere in quanto essere e le sue proprietà essenziali. (dal vocabolario Treccani)
La filosofia occidentale più antica condivide con le filosofie orientali la ricerca dell’eudemonia, ossia l’arte di essere felici.
“La saggezza di vita intesa come dottrina è all’incirca un sinonimo di eudemonica. Essa dovrebbe insegnare a vivere il più felicemente possibile, e questo a due condizioni: non pretendere né un atteggiamento stoico né un agire machiavellico. Non la prima via, quella della rinuncia e della privazione, poichÉla scienza deve regolarsi sull’uomo comune, che è troppo colmo di volontà per cercare la sua felicità in questo modo. Non la seconda, il machiavellismo, cioè la massima di raggiungere la propria felicità a spese della felicità altrui, poiché proprio nel caso dell’uomo comune non si può dare per scontata la presenza della ragione necessaria a questo scopo.” – A. Schopenhauer, L’arte di essere felici
Filosofie d’Occidente e d’Oriente nascono con l’obiettivo iniziale di trovare il modo migliore di vivere la vita, di capire cosa è moralmente buono e cosa no, e per “elevare” l’uomo da sé stesso. Si possono trovare infatti moltissimi punti in comune tra Aristotele, Epicuro, gli stoici e tra Confucio, Buddha e Lao Tzu.
Lo sbilanciamento di interesse di un certo mondo occidentale per il versante orientale è però spesso motivato da una malcelata sete di spiritualità, laddove si abbracciano pratiche dal fascino esotico illudendosi di poter avere così accesso alla tanto vagheggiata idea di “benessere”.
Integrare le pratiche orientali (ritenendo magari di poter diventare per questo buddhista, shintoista, taoista, induista, ecc.), non considerando le proprie premesse culturali, sociali e psicologiche prettamente occidentali, equivale a scimmiottare qualcosa che non ci appartiene, dimostrando una significativa mancanza di prospettiva.
«L’acquisire una maggior familiarità con lo spirito orientale potrebbe indicare simbolicamente l’inizio di una nostra presa di contatto con le parti di noi che ci sono ancora estranee.
Il rinnegare le nostre peculiari premesse storiche sarebbe pura follia e il miglior modo per un ulteriore sradicamento, perchè è solo restando saldamente ancorati al nostro terreno che possiamo assimilare lo spirito dell’Oriente.» – C.G.Jung – Commento all’antico testo cinese “Il segreto del Fiore d’Oro”