Di fronte alla vastità del conoscibile non si può che essere colti da una sensazione di trasalimento, uno smarrimento carico di potenzialità inespresse.
Ho sempre avuto la sensazione scomoda e stupefacente di non sapere niente. A scuola mi sembrava che, anche studiando qualcosa, le lacune aumentassero a dismisura, fino a farmi smettere anche solo di provare a colmarle. Restavo allibita dal non sapere. […] Imparando a meditare, sono entrata in familiarità lentamente, lentamente, con il non sapere. Mi accorgevo che meno sapevo piú sperimentavo. E piú tardi, cercando di passare agli altri la pratica della meditazione, mi sono accorta di come chi sa o crede di sapere molto sperimenta solo esperienze di seconda o di centesima mano, non è mai in intimità con niente, non trema davanti al non conosciuto e non si inoltra. Perché il sapere dell’esperienza non si può accumulare, l’esperienza inganna come tutto il resto, se credi di poterla ripetere quando ti addentri nei territori del non conosciuto. Non ci sono primi della classe, né esperti, né Maestri, se non quelli che ti spingono a conoscere in prima persona, a ferirti e medicarti, e al massimo ti preparano bende e cerotti per quando sosti un momento e li guardi disperato negli occhi: la disperazione dei cani quando non capiscono i nostri comportamenti discontinui. In ognuno di noi c’è un cane spaventato dalla discontinuità dell’esperienza.
Una buona pratica, preliminare a qualunque altra, è la pratica della meraviglia. Esercitarsi a non sapere e a meravigliarsi. Guardarsi attorno e lasciar andare il concetto di albero, strada, casa, mare e guardare con sguardo che ignora il risaputo e vede ora. La pratica della meraviglia è una pratica che cura anche il cuore piú ferito della terra.
Si può andare a trovare un piccolissimo pezzo di prato, un pizzico di prato c’è sempre, anche in città. E guardare. A lungo. Si apre un universo minimo. Infinite vicende, mutamenti, arrivi, partenze, forme sempre piú piccole man mano che lo sguardo si limita a vedere. Esercitare la meraviglia cura il cuore malato che ha potuto esercitare solo la paura.
Da Questo immenso non sapere di Livia Chandra Candiani
Vivere l’istante, essere totalmente presenti a ciò che è, semplicemente e senza commenti. Basta questo a trasformare un’intera esistenza.
La nostra vita succede di continuo. È una vita meravigliosa, fluida, mozzafiato, che ci piaccia o no. E tuttavia c’è, per tutto il tempo. E noi abbiamo un insieme molto rigido, ristretto e ridotto di comportamenti con cui cerchiamo di elaborare questa esperienza sterminata.
Il segreto di sperimentare la vita nella sua pienezza è semplicemente essere qualsiasi cosa stiamo sperimentando. Diciamo che per qualche minuto riusciamo a sentire quello che stiamo sentendo invece di rifuggirlo, pensarci, analizzarlo, prendere una pillola, ubriacarci o quello che facciamo pur di non essere costretti a sentirlo. Se riusciamo davvero a restare con questo, a mostrarci amichevoli e curiosi con la nostra sofferenza, possiamo cominciare a trasformarci. Quando viviamo con un pensiero dominante, la sofferenza si rinsalda. Non può muoversi. Non può fare niente. Rimane lì incastrata e ci fa impazzire.
Quando riusciamo a lasciar andare il desiderio personale, basato sul pensiero che le cose vadano in un determinato modo, per la prima volta la sofferenza che proviamo può cominciare ad aprirsi. E quando si apre, la sensazione diventa chiara e serena. E alla fine ci sono silenzio e meraviglia. In definitiva, non c’è niente: solo meraviglia. Sotto tutte le nostre difficoltà c’è questa fonte di silenzio, che è la vera saggezza. Comunque la vogliate chiamare, è lì.”
Da Meraviglia quotidiana di Charlotte Joko Beck
L’incontro con se stessi, così come l’incontro con l’altro, aprono panorami vastissimi ed inaspettati, purché ci si ponga nell’attitudine sincera e pulsante del ricercatore. Svestirsi delle numerose e svariate identità che ci attribuiamo per raggiungere quella nudità intima e disarmante che è il nostro nucleo più profondo è una danza stupefacente.
Non domandate all’altro di essere altra cosa che quello che è. Il suo problema, il suo funzionamento, la sua affermazione: è la vostra meraviglia. È straordinario vedere un essere umano: vedere come ci si è costruiti, come ci si è immaginati; la testa, le orecchie, il ventre, la voce, l’intelligenza, la viltà, l’odore che ci si è dati. Tutto questo voi ve lo siete dati: è il dono che vi siete fatti. Se incontrate un inconveniente nella vostra vita, è un dono che vi fate. Fino a che ciò non vi è chiaro, lo vivete come un antagonismo, lottate. Un giorno, voi vedete che quello che vi appariva come un dramma, profondamente, è il vostro dono.
[…] È straordinario vedere! Vedere la natura, una foglia, sentire il vento, sentire un grido. Niente è più straordinario della vita. Credere che io abbia bisogno d’altro se non di questo straordinario regalo è una mancanza di rispetto per la bellezza della vita. Non ho bisogno d’altro che di una nuvola.”
Da Lasciar libera la luna di Éric Baret
Ci si può chiedere se la conoscenza possa prescindere dall’esperienza, se si possa comprendere davvero qualcosa senza sperimentarlo. Ma si è disposti a correre il rischio di rispondere a tali quesiti?
Un pupazzo di sale, dopo avere viaggiato per valli e per monti, giunse fino all’oceano. Lì, meravigliato da una bellezza e una vastità che non aveva mai visto prima, rimase in contemplazione.
Da Il dito e la luna – 101 storie Sufi
«Dimmi, chi sei?» chiese il pupazzo di sale all’oceano.
«Chi assaggia conosce. Entra e comprenderai» rispose l’oceano.
Il pupazzo entrò quindi nell’oceano. E tanto più vi si addentrava, tanto più si scioglieva.
Un istante prima di dissolversi completamente, il pupazzo sorrise affascinato: «Ora comprendo chi sei!».
E svanì.”