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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 14 – Śloka 37 

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La quattordicesima delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) ci offre lo spunto per esplorare il bindu, un punto di luce o essenza fondamentale, visualizzato sotto forma di un tilak di fuoco sottile. Il tilak, segno tradizionale applicato sulla fronte in India, ha spesso una forma simile a una fiamma, generalmente di colore rosso.

dāmāntaḥ-kṣobha-saṃbhūta-sūkṣmāgni-tilakākṛtim |
binduṃ śikhānte hṛdaye layānte dhyāyato layah || 37 ||

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

37. Lo yogin che medita nello dvādaśānta e nel cuore il bindu, simile a un piccolo punto di fuoco che nasce dall’interiore perturbazione della luce, alla fine di questo processo di dissoluzione si dissolve anche lui.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue:
Śivopādhyāya dà di questa stanza due interpretazioni.
Il bindu che lo yogin medita nello dvādaśānta può essere quel piccolo punto di fuoco
1) che nasce dalla perturbazione della luce, cioè da una forte compressione degli occhi;
2) che nasce dallo stato di perturbazione, cioè di tremolio, in cui viene a trovarsi una lampada alla fine dell’alimento.

37. Agitando gli occhi, all’interno appare una sottile fiamma a forma di tilaka. Si dovrebbe meditare su questo bindu sia in cima (ūrdhva dvādaśānta) che nel cuore. Quando quella concentrazione è completa, avviene l’assorbimento.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003

37. Lo yogī dovrebbe meditare nel cuore o in dvādaśānta1 sul bindu che è una sottile scintilla di fuoco che assomiglia a un tilaka2 prodotto dalla pressione sul dhāma o teja (luce esistente negli occhi)3. Con tale pratica il pensiero discorsivo (vikalpa) dello yogī scompare e, alla sua scomparsa, lo yogī è assorbito nella luce della coscienza suprema.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. La parola śikhānta (estremità del ciuffo di capelli sulla testa) qui significa dvādaśānta o brahmarandhra.
2. Tilaka: un piccolo punto rotondo di pasta di sandalo applicato sulla fronte dagli indù come segno di devozione a una divinità.
3. Quando gli occhi vengono premuti, appaiono alcune scintille. Lo yogī dovrebbe afferrare mentalmente il bindu (punto) che è una delle scintille che appaiono nell’occhio tramite pressione, e dovrebbe meditare su quel bindu nel cuore o nel dvādaśānta. Con questa pratica, la sua abitudine di dicotomizzare il pensiero (vikalpa) scomparirà, e quando ciò scomparirà, sarà stabilito nella natura essenziale di Bhairava.
La parola dhāma in questo contesto significa la luce nell’occhio, o la parola dhāma può essere interpretata come le sottili scintille di luce di una lampada che appaiono al momento dell’estinzione della sua luce.
Questo è un Āṇava upāya.

Si mediti sul Punto (di luce) (all’interno dell’Estremità superiore dello Spazio delle Dodici Dita) all’estremità del ciuffo e all’interno del cuore, nella forma di un tilaka di fuoco sottile che è sorto dall’agitazione interiore (degli occhi), la dimora (dhāman) (della vista). 

Mark Dyczkowski

Medita sul Bindu come un tilak di fuoco sottile prodotto dalla stimolazione interiore della Dimora Radiante (dhāman), [meditando su di esso] nel cuore e/o appena sopra la testa; quando si dissolve completamente, c’è Dissoluzione [nella pura Presenza]. 

Christopher D. Wallis

Le varie traduzioni e commenti evidenziano approcci diversi:

  • Alcuni maestri suggeriscono di meditare sul bindu come un punto di luce percepito negli occhi, un fenomeno visivo che emerge dalla pressione o dalla stimolazione interiore.
  • Altri indicano che la chiave è l’attivazione del canale centrale tramite tecniche specifiche di respirazione e focalizzazione.
  • Una prospettiva più esperienziale suggerisce che la consapevolezza deve essere mantenuta sia nel cuore che nel dvādaśānta (punto sopra la testa), creando un flusso energetico armonioso tra i due poli.

Mentre i cakra sono formati dalla convergenza di più nāḍī (canali energetici), i bindu sono nuclei di essenza primaria, ancora più profondi e misteriosi. La pratica suggerita in questo verso potrebbe essere declinata come segue:

  1. Stabilire una respirazione profonda e ritmica
  2. Applicare mula bandha durante la ritenzione del respiro
  3. Visualizzare l’energia che si risveglia alla base della colonna
  4. Dirigere questa energia attraverso il canale centrale fino al centro del cuore
  5. Percepire una fiamma sottile nel cuore, visualizzandola come un tilak di fuoco
  6. Mentre la fiamma si stabilizza, portare simultaneamente l’attenzione alla sommità della testa
  7. Percepire un punto luminoso (bindu) sulla punta della fiamma nel cuore e su un punto simile sopra la testa
  8. Mantenere la consapevolezza su entrambi i punti, sentendo la connessione tra loro come una corda tesa
  9. Osservare come gradualmente i due bindu si dissolvono
  10. Rimanere nella pura presenza che emerge dalla dissoluzione

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Vijñāna Bhairava – Dhāranā 13 – Śloka 36

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La tredicesima delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) rivela una pratica profonda per accedere alla dimensione interiore della coscienza attraverso il controllo dei sensi e la focalizzazione sul bindu, il punto di luce interiore.

Kara-ruddha-dṛg-astreṇa bhrū-bhedād dvāra-rodhanāt |
Dṛṣṭe bindau kramāl līne tan-madhye paramā sthitiḥ || 36 ||

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

36. Ostruiti gli occhi con le mani, serrate con quest’arma le porte, traforate di conseguenza le sopracciglia, si ha la vista del bindu, che viene poi via via dissolto: si invera allora, nel punto di mezzo, lo stato supremo.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue: Lo yogin occlude idealmente con le dieci dita le pore, cioè gli organi dei sensi (occhi, ecc.), e, cosi isolatosi dal percepibile esterno, spinge la potenza oltre la ruota delle sopracciglia […]. Si verifica a questo punto la visione del bindu, che via via si dissolve anch’esso. Il bindu o anusvāra è una risonanza nasale che può accompagnare le vocali all’atto del loro proferimento. Esso è rappresentato graficamente con un punto soprastante alla vocale che lo precede. Nella speculazione śivaita il bindu diventa i simbolo dell’energia divina indifferenziata, che durante la meditazione si manifesta allo yogin come punto luminoso. « Il punto di mezzo» è, secondo Śivopādhyāya, il cielo senza macchia della coscienza.

36. Chiudendo le aperture dei sensi con le mani e perforando il centro tra le sopracciglia, quando il bindu (punto di luce) viene percepito e si verifica una graduale dissoluzione, allora si sperimenta lo stato supremo nel proprio centro.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Chiudendo tutte le aperture della testa, ovvero i due occhi, le due narici, le due orecchie e la bocca […]. Tuttavia, prima di chiudere queste aperture, è necessario mantenere la consapevolezza o una concentrazione unidirezionale […]. Se invece vengono chiuse senza aver prima stabilito questa consapevolezza, si avrà soltanto una sensazione di soffocamento […]. Come si mantiene questa consapevolezza? Bhrū-bhedāt, perforando il centro tra le sopracciglia. “Perforare” significa semplicemente contemplare tra le sopracciglia. Quando si contempla questo punto dopo aver chiuso tutte le aperture della testa con le mani […], si sperimenta e si percepisce tāraka-prakāśa, la luce interiore che appare davanti a sé. Questo è il bindu-prakāśa (la goccia di luce) e quel bindu, quel tāraka-prakāśa, inizierà gradualmente a dissolversi. Tan-madhye, nel centro di questa dissoluzione, si sperimenta lo stato di parama-sthiti, l’assorbimento supremo nello stato di Parama Śiva. Questo è il raggiungimento del samādhi. Non è unmīlana (samādhi con gli occhi aperti), ma nimīlana samādhi (samādhi con gli occhi chiusi). Non è śāktopāya, ma un puro āṇavopāya. […] Successivamente, si scoprirà che il tāraka-prakāśa svanisce lentamente e, quando sarà completamente dissolto, ci si troverà immersi nello stato di Parama Śiva.
Questo è puro āṇavopāya. Il nimīlana samādhi si sperimenta esattamente dopo la scomparsa del bindu.

36. Bloccando le aperture (dei sensi) con l’arma (astra) in forma delle mani1, con cui vengono chiusi gli occhi (e le altre aperture del viso), e perforando il nodo al centro delle sopracciglia2, il bindu viene percepito3. Quando, con lo sviluppo della concentrazione univoca, esso gradualmente si dissolve nell’etere della coscienza4, allora, al centro di tale spazio interiore, lo yogī si stabilisce nello stato (spirituale) supremo.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Kara-ruddha-dṛg-astra indica un tipo di karaṇa utilizzato nell’āṇava-upāya. Il termine karaṇa è definito come […] la disposizione degli arti del corpo in una modalità specifica, solitamente conosciuta come mudrā, finalizzata al controllo di determinati organi e sensi per favorire la concentrazione. In questo caso, il karaṇa specificato si realizza tramite le mani. In questa mudrā sono usate le dieci dita delle due mani.
I due pollici chiudono le orecchie. Gli indici chiudono gli occhi.
I medi chiudono le narici. Gli anulari e i mignoli chiudono la bocca.
[…] Tutte le jñānendriya (facoltà sensoriali) vengono chiuse.
Attraverso questa tecnica, la coscienza viene isolata da ogni influenza esterna e l’energia vitale (prāṇa) viene trattenuta all’interno.
2. L’energia vitale, chiudendo le varie aperture sensoriali, risale verso il centro delle sopracciglia, dove rompe il nodo o groviglio di nervi che trattiene una potente energia latente.
3. Quando il centro tra le sopracciglia viene perforato dall’energia vitale che si eleva dall’interno, appare un punto di luce brillante. Questo è il bindu o vindu, termine che significa “punto”, “goccia” o “sfera luminosa”. Può essere scritto sia bindu che vindu.
4. Non appena il bindu viene percepito, lo yogī deve concentrarsi su di esso. Con lo sviluppo della concentrazione, il bindu inizia a dissolversi gradualmente fino a scomparire nello spazio della coscienza universale (cidākāśa). Questo stato è chiamato paramā sthiti, il livello supremo della realizzazione yogica.
Ci sono cinque fasi di questa dhāraṇā ossia:
(1)Dvārā-rodhana – Chiusura delle aperture sensoriali con le dita delle due mani.
(2) Bhrū-bheda – L’energia vitale, trattenuta all’interno, si eleva verso il centro delle sopracciglia e rompe il nodo delle nāḍī.
(3) Bindu-darśana – Quando il centro delle sopracciglia è trafitto, il bindu viene percepito interiormente.
(4) Kramāt-ekāgratā – Concentrandosi sul bindu, questo gradualmente si dissolve nell’etere della coscienza.
(5) Tan-madhye paramā sthitiḥ – All’interno di tale spazio, lo yogī realizza lo stato supremo, ovvero l’essenza di Bhairava si manifesta nella sua pienezza. […]
Questa è una pratica dell’āṇava-upāya che culmina nello śāktopāya.

Se [lo yogī] chiude le porte [dei sensi] con l'”arma” [mantra] e la [mudrā da cui] la percezione è bloccata con le mani, [e successivamente] perfora il centro delle sopracciglia, percepirà il Bindu [in quel centro]. Quando si dissolve gradualmente, [si sperimenterà lo] Stato Supremo nel proprio Centro. 

Christopher D. Wallis

Questo versetto descrive un metodo avanzato di meditazione in cui si utilizza il Ṣaṇmukhī Mudrā, una tecnica che consiste nel chiudere le aperture sensoriali con le dita:

  • Indici sugli occhi
  • Medi sulle narici
  • Anulari e mignoli sulla bocca
  • Pollici sulle orecchie

Questa posizione crea uno stato di privazione sensoriale, che favorisce l’introspezione e la percezione di livelli più sottili di coscienza.

L’arma cui allude il testo potrebbe essere la mudrā, ma anche l’uso di un mantra. Si tratterebbe in tal caso di un astra-mantra, ovvero un mantra considerato un’arma spirituale. In questo caso potrebbe trattarsi del bija mantra HUṂ, spesso associato alla dissoluzione delle illusioni e alla purificazione mentale. Vibrando HUṂ internamente mentre si esegue la mudrā, si intensifica la focalizzazione e si facilita la percezione del bindu, una minuscola sfera di luce interiore.

La combinazione di Ṣaṇmukhī Mudrā e della vibrazione del mantra HUṂ potrebbe portarci a bhrāmarī pranayama.

Durante la pratica, lo yogī potrebbe visualizzare un punto luminoso davanti al terzo occhio. Questo bindu rappresenta il centro della coscienza e, con una concentrazione profonda, inizia a dissolversi, portando il praticante nello stato di paramā sthiti, una condizione di assoluta pace e stabilità interiore. Questo stato è considerato la realizzazione del Sé nella tradizione tantrica.

Sei pronto a esplorare il tuo bindu interiore? Inizia con questa pratica e osserva dove ti porta il viaggio dentro di te.

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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 12 – Śloka 35

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La dodicesima delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) introduce quello che può sembrare un paradosso: esperire lo spazio della pura consapevolezza come colmo di un sottile dinamismo, una vivida capacità percettiva. Un vuoto pieno.

Il testo ci aveva già introdotto una yukti sul canale centrale al verso 28, ma in questo caso si tratta forse di una pratica ancora più sottile e sfidante.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti prima di dedicarci all’a pratica’esperienza.

35. Il canale centrale sta nel mezzo: in virtù di questa Dea, simile a un filamento di loto, dentro la quale è meditato l’etere, risplende Śiva.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue: Il canale o vena (nāḍī) centrale è la suṣumnā (qui identificata con la Dea), ove i soffi vitali del prāṇa e dell’apāna confluiscono nel soffio verticale dell’udāna. La potenza del soffio vitale è, come si è visto, assimilata alla kuṇḍalinī.

35. Il canale centrale, che è situato nel mezzo, è sottile come la fibra di uno stelo di loto. Meditando sullo spazio al suo interno attraverso quella dea (dello spazio interiore) Dio viene rivelato.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Suṣumnā, che è madhya-saṃsthā, si trova nel percorso centrale del corpo. Si dovrebbe concentrare l’attenzione su questa madhya-nāḍī, percependola simile a una fibra di loto (bisa-sūtra), estremamente minuta e sottile. Quando si taglia lo stelo del loto (nadroo in lingua kashmira) e si rivela la sua fibra interna, si deve immaginare che la madhya-nāḍī sia proprio come quella fibra delicata e sottile. Meditando su questa nāḍī, che si estende dalla base fino alla sommità del capo, si scopre la sua formazione sottile e luminosa. Questa meditazione non deve avvenire tramite la mente ordinaria.

35. La madhya-nāḍī1 è situata al centro. È sottile come il gambo di un loto. Meditando sulla vacuità interiore di questa nāḍī, si facilita la rivelazione del Divino2.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Nāḍī qui significa “canale prānico”.
2. Prāṇa-śakti risiede nella suṣumnā o madhya-nāḍī. Se si medita sulla vacuità interiore presente in questa nāḍī centrale, le correnti di prāṇa e apāna si dissolvono nella suṣumnā, mentre la corrente di udāna si attiva. In questo modo, la kuṇḍalinī si innalza, attraversa la suṣumnā, perfora i vari centri di energia (cakra) e infine si fonde nel sahasrāra. Lì, lo yogi sperimenta la luce spirituale e si identifica con essa. Questo è il significato della rivelazione del Divino attraverso la forza prānica interiore che risiede nella suṣumnā. […] Questo processo inizia con āṇava-upāya e culmina nello śāktopāya.

Il Canale mediano è situato nel mezzo (tra i due respiri) in una forma (estremamente sottile) come una fibra di loto. Dopo aver meditato su questo come la Dea che è il Vuoto interiore, Dio è illuminato da Lei.

Mark Dyczkowski

Il canale centrale è situato nel nucleo [del proprio essere]. Medita su di esso come se avesse una forma simile a una sottile fibra di loto [e] come se fosse la Dea nella forma dello Spazio più intimo; attraverso di Lei, [l’esperienza di] Dio (cioè, la Luce della Coscienza) si manifesterà.

Christopher D. Wallis

Madhya-nāḍī è l’asse sottile dell’energia che attraversa il corpo. Le esperienze energetiche ed emotive più potenti si verificano lungo questa linea mediana: il cuore, il ventre, la gola, gli organi sessuali e la sommità del capo.

Il commentatore Śivopādhyāya descrive lo antar-vyoma come lo spazio della pura consapevolezza (cidākāśa), uno spazio non vuoto ma colmo di presenza e coscienza. Questa spaziosità, pur nella sua vacuità, è intrisa di una presenza vivida e luminosa. È la Dea stessa, ovvero l’energia dinamica (Śakti) presente nella coscienza. Attraverso questa Dea, e come risultato della pratica meditativa, si manifesta Śiva. Certo non una visione antropomorfa, ma piuttosto la Luce creativa della Consapevolezza.

Sebbene spesso percepita come una realtà mistica riservata a praticanti avanzati, il canale centrale è accessibile a tutti, anche se solitamente viene percepito solo nei punti dove l’energia è più intensa, i cosiddetti cakra. La sfida consiste nel percepirlo lungo tutta la sua lunghezza, dal pavimento pelvico fino alla corona.

Se ti servono indicazioni pratiche, potresti seguire queste:

  • Siediti con la schiena dritta e allungata, mantenendo la mascella rilassata.
  • Posiziona delicatamente il dito medio della mano destra sulla sommità del capo e il dito medio della mano sinistra sul perineo.
  • Percepisci la sottile linea di energia tra le due punte delle dita.
  • Rimuovi le dita e verifica se riesci ancora a percepire quella sottile linea di energia.
  • Ora immagina questa linea come uno stelo cavo al centro e sintonizzati sulla sua spaziosità pura, colma di vivace dinamismo e insieme di tranquilla presenza.

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Vijñāna Bhairava – Dhāranā 11 – Śloka 34

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Che tu stia affrontando la sfida di una mente irrequieta, che salta continuamente da un pensiero all’altro, o che tu sia alla ricerca di una pratica meditativa breve e accessibile da integrare nella tua routine quotidiana, l’undicesima delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui), potrebbe essere la risposta ideale. La sua semplicità la rende particolarmente adatta sia per calmare una mente agitata che per creare momenti di presenza consapevole durante la giornata, indipendentemente da dove ti trovi.

Portare la consapevolezza all’interno del cranio non solo richiama la nostra mortalità, ma invita anche a riconoscere il potenziale per una connessione diretta con l’Assoluto. Attraverso stabilità, rilassamento e attenzione focalizzata, questa tecnica può condurre verso la realizzazione del lakṣya uttama, l’obiettivo supremo.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

34. Proiettata la mente dentro il cranio, stando immobile con gli occhi chiusi, grazie a un’intensa applicazione mentale si discerne gradualmente la meta suprema.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue:

La parola kapāla, cranio, viene artificiosamente spiegata da Śivopādhyāya come formata da ka, «potenza», e da pālaka, «protettore», cioè Śiva. Lo yogin in questo senso deve proiettare la mente sull’unione di Śiva con la sua potenza (rappresentata visivamente dal cranio), essenziati rispettivamente di luce e pensiero.

34. Fissando la mente nello spazio interiore del cranio e rimanendo seduti immobili con gli occhi chiusi, gradualmente, attraverso la stabilità della mente, si raggiunge la meta suprema.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: […] Devi mantenere la tua mente […] nel vuoto del cranio, ma devi vedere che c’è fuoco che splende tutto intorno, nel tuo
cranio. Questo non è un atto immaginativo, ma una percezione diretta del fuoco di cit, la Kundalini ascendente (ūrdhva-kundalinī), che rappresenta il cit-prakāśa, la luce della coscienza pura.

34. Fissando l’attenzione sull’interno¹ del cranio (kapāla) e sedendo con gli occhi chiusi², con la stabilità della mente³, si discerne gradualmente ciò che è più eminentemente discernibile⁴.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Sull’interno significa sulla Luce che è sempre presente all’interno.
2. Con gli occhi chiusi significa distaccato dal mondo esterno e completamente introverso.
3. La mente è, all’inizio, molto volubile, ma con la pratica costante, acquisisce stabilità e quindi ci si può concentrare con fermezza.
4. Questo significa che si diventa consapevoli della più alta Realtà spirituale.
Questa dhāraṇā rientra nello Śaktopāya.

Rimanendo con gli occhi chiusi, fissa l’attenzione all’interno del cranio (kapāla); attraverso una graduale crescente stabilità della mente, percepirai ciò che è più degno di essere percepito.

Christopher D. Wallis

Un aspetto particolarmente interessante di questo verso è l’uso del termine kapāla. Mentre potrebbe essere semplicemente tradotto come “cranio”, il termine ha una ricca storia nella tradizione tantrica. Kapāla si riferisce specificamente alla coppa-cranio, un oggetto rituale utilizzato dai praticanti tantrici, in particolare dai kāpālikas (coloro che portano una coppa-cranio) e ancora oggi dagli Aghori e dai buddhisti tibetani.

La scelta di questo termine specifico non è casuale. Al tempo della composizione del testo, i kāpālikas erano diffusi in tutta l’India, e l’uso di questa parola avrebbe immediatamente evocato nei lettori dell’epoca l’immagine di questi asceti che portavano coppe ricavate da crani umani. Questo riferimento serve come potente promemoria della natura transitoria dell’esistenza umana.

Ecco un modo per procedere:

  • Rilassa la mascella: Lascia cadere la mascella in modo che le labbra si separino leggermente.
  • Posizione della lingua: Posiziona la punta della lingua sul palato, nel punto più comodo del palato duro, orientandola verso la corona della testa.
  • Rilassa gli occhi: Permetti agli occhi di “ammorbidire” il loro focus, dirigendoli idealmente verso la parte posteriore della testa.
  • Focalizzazione interiore: Proietta la consapevolezza verso il centro dell’interno del cranio, il punto più profondo di quel “vuoto”. Potresti avvertire un leggero formicolio o la sensazione che il respiro fluisca dentro e fuori dalla corona della testa.
  • Mantenimento: Rimani focalizzato su quel punto. Se l’attenzione si sposta, riportala delicatamente indietro senza forzare.

La pratica lavora con il punto del brahma-randhra, l'”apertura dell’assoluto”, situato nella corona della testa: un’apertura energetica che può portare a esperienze di profonda connessione con il tutto.

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Vijñāna Bhairava – Dhāranā 10 – Śloka 33

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La decima delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) ci invita a una pratica di dissoluzione progressiva della mente. Il processo citato ci connette direttamente al verso precedente (Śloka 32), dove viene descritto un metodo graduale di meditazione e dissoluzione (laya-yoga) che, passando da un campo sensoriale all’altro, implica un lasciar andare e un ricevere. La mente pensante, normalmente agitata e dispersa, trova negli oggetti di concentrazione — uno spazio vuoto, un muro bianco, o un vaso ben formato — un substrato su cui dissolversi spontaneamente. In questo stato di dissoluzione (svayam līnā), l’esperienza dello stato di Bhairava emerge come il dono supremo.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

33. In base ad un simile processo [cioè, di grado in grado], la meditazione, qualunque ne sia il supporto – il vuoto, un muro, il vaso supremo (pātra) -, dissoltasi di per se stessa (svayamlīnā), conferisce il sommo bene.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue:

Il tema lī- (ed il sostantivo laya), ricorrente in molte stanze di quest’opera, è usato nel senso di «dissolver-si», «assorbirsi», «riposarsi» nella suprema realtà (si veda, sopra, l’Introduzione, p. 17).
Il «vaso supremo» è probabilmente il vaso sacrificale, che in molti riti è contemplato in identità con la coscienza. Śivopādhyāya interpreta diversamente, e per «vaso (o recipiente) supremo» intende un discepolo, ecc., la cui mente sia priva d’ogni macchia.

33. Allo stesso modo, se si concentra la propria consapevolezza su qualcosa, che sia uno spazio vuoto, un muro, o un discepolo meritevole, questa (energia della concentrazione) si dissolverà da sola e conferirà grazia.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Adottando questo metodo […] ogni volta che ti concentri su questa consapevolezza o pensiero focalizzato, puoi fissarla sul vuoto, su un muro, o sulla coscienza del tuo discepolo preferito. L’Energia del Signore Śiva si rivela lì e allora. Questa energia, rivelata nel vuoto che è stato oggetto della pratica, è dispensatrice di doni. […] Puoi concentrare questa focalizzazione unica sul vuoto del cielo, o su un muro, o sul cuore di un discepolo.

33. In questo modo, successivamente1, ovunque ci sia consapevolezza sul vuoto, su un muro, o su alcune persone eccellenti2, quella consapevolezza si assorbe nel Supremo e offre il più alto beneficio3.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Proprio come vi è concentrazione in passaggi successivi su mūlādhārajanmakandanābhihṛdayakaṇṭhatālubhrūmadhyalalāṭabrahmarandhraśakti e vyāpinī nel proprio corpo, così si può praticare la concentrazione in passaggi successivi anche fuori dal corpo, ad esempio su un vasto spazio vuoto o su un alto muro.
2. Pare pātre: qui pātra significa persona adatta o competente; pare pātre significa su una persona eccellente e competente, ad esempio su un discepolo puro di mente.
3. La più alta esperienza spirituale è qui indicata come il massimo beneficio.
La dhāraṇā sopra riportata inizia con āṇava upāya e infine si dissolve nello śāktopāya.

Con questo stesso processo, in qualunque [substrato] la mente pensante si dissolva spontaneamente, che sia uno spazio [interiore], un muro [vuoto] o un vaso dalla forma perfetta, tale dissoluzione conferisce il dono [dello stato di Bhairava].

Christopher D. Wallis

Un aspetto cruciale dell’interpretazione riguarda il termine para pātra. Esso può essere inteso letteralmente come “vaso perfetto” o metaforicamente come “una persona degna” o “un discepolo dal cuore puro”. I commentatori tradizionali tendono a interpretarlo in senso metaforico, vedendo nel testo un manuale per il guru. Tuttavia, un’interpretazione letterale — riferita a un recipiente fisico — sembra altrettanto valida e ci riporta a pratiche simili a quelle dello Zen, dove si medita su oggetti semplici e concreti, come una ciotola vuota.

Un’altra chiave interpretativa è offerta dal commentatore che associa questa pratica alla meditazione sui 12 cakra, descritti nei versi precedenti (Śloka 28 e seguenti). I cakra sono intesi come spazi aperti nel corpo, ma qui il commentatore suggerisce che si possa meditare anche sui cakra di un’altra persona, come il proprio guru o un discepolo degno (para pātra). Questo implica una pratica relazionale, in cui la connessione tra maestro e discepolo diventa il substrato della meditazione.

Che si tratti di uno spazio vuoto, un muro o un recipiente ben formato, il processo è sempre lo stesso: lasciar andare, ricevere, e permettere alla mente di dissolversi spontaneamente. In questo abbandono, si manifesta lo stato di Bhairava, il dono supremo della consapevolezza illuminata.

La semplicità di questa pratica è il suo potere. Non servono tecniche complicate o supporti esterni come mantra o controllo del respiro. Tutto ciò che è richiesto è un’intenzione focalizzata e un completo abbandono al processo, permettendo alla mente di fondersi con il Supremo.

Questo verso, pur radicato nella tradizione tantrica, risuona con pratiche contemplative di altre tradizioni, come lo Zen, dimostrando l’universalità dell’esperienza meditativa. Il Vijñāna-bhairava Tantra ci ricorda che il divino è ovunque: in uno spazio vuoto, in un muro bianco, o in un semplice vaso.

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 9 – Śloka 32

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La nona delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) è tanto profonda quanto poetica: usa l’immagine delle piume di pavone come metafora per guidarci verso una profonda esperienza di consapevolezza.

Se osserviamo una piuma di pavone, notiamo una serie di cerchi concentrici dai colori vivaci che culminano in un intenso blu cobalto al centro. Questa struttura naturale diventa un potente strumento di visualizzazione per la pratica meditativa e può ispirare una forma di Laya Yoga, lo “yoga della dissoluzione”. Nel contesto tantrico, laya significa letteralmente “dissoluzione” o “assorbimento”, e si riferisce al processo di dissoluzione graduale della coscienza ordinaria nei suoi componenti più sottili, fino a raggiungere lo stato di pura consapevolezza (Bhairava).

Il concetto di “spazio” (śūnya) nella tradizione tantrica è profondamente significativo. Non si riferisce semplicemente al vuoto fisico, ma a un campo di potenzialità pure dove la percezione e l’esperienza possono manifestarsi. Ogni apertura sensoriale è considerata uno “spazio” (śūnya) o un “cerchio” (maṇḍala), un campo dove si manifesta un aspetto specifico della nostra esperienza.

La tradizione tantrica stabilisce una corrispondenza tra i cinque elementi (mahābhūta) e i cinque sensi o cinque spazi (con riferimento alle nostre aperture sensoriali):

  • La terra (pṛthivī) corrisponde all’olfatto (naso)
  • L’acqua (ap) corrisponde al gusto (bocca)
  • Il fuoco (tejas) corrisponde alla vista (occhi)
  • L’aria (vāyu) corrisponde al tatto (superficie corporea)
  • Lo spazio (ākāśa) corrisponde all’udito (orecchie)

Proprio come i cerchi della piuma di pavone si fondono l’uno nell’altro, il processo di dissoluzione dei campi sensoriali segue un ordine preciso e non arbitrario, che riflette la struttura sottile della coscienza secondo la comprensione tantrica. I sensi più grossolani si dissolvono in quelli più sottili, culminando nell’esperienza del “Vuoto Supremo” (anuttara śūnya).

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

32. Per colui che medita la pentade dei vuoti, giovandosi degli occhi policromi della coda del pavone, in invera, nel cuore, una penetrazione del vuoto senza superiore.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue: I cinque vuoti sono, secondo Śivopādhyāya, i cinque organi di senso, considerati come vuoti, insostanziali.
Il variegato e gatteggiante ovale che orna le penne caudali del pavone è considerato dallo yogin come un maṇḍala naturale, che serve da supporto alla meditazione sulla vacuità, la quale designa, in queste scuole, la coscienza di là da ogni immagine oggettivata, paragonata ad un etere senza macchia.
Il termine anuttara, «senza superiore», viene usato, nei testi śivaiti, per designare la realtà suprema.
Abhinavagupta, nel suo «Commento lungo» alla Parātriṁśikā, lo spiega in sedici differenti modi, basandosi di volta in volta su una diversa etimologia (si veda PTV, pp. 19 sgg.).

32. Meditando sui cinque vuoti dei sensi, che sono come i vari colori delle piume del pavone, lo yogi entra nel Cuore del Vuoto assoluto.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: […] I cinque organi dei sensi sono come le ali o le piume di un pavone. Quando i cinque organi sono diretti ai loro rispettivi oggetti, considera che l’oggetto percepito dall’occhio, dall’orecchio,
dal naso, dalla pelle (attraverso il tatto) o dalla lingua, è soltanto śūnya, vuoto. Non c’è nulla in esso. È soltanto vuoto: tutti questi oggetti sono vuoti. Senza permettere alla tua coscienza di essere influenzata da questi oggetti, devi concentrarti simultaneamente su questi cinque
e realizzare che essi sono soltanto vuoto e nient’altro. […]
E cosa succede? Entrerai in quel Cuore supremo che è pieno di vuoto, e quel Cuore supremo è il Signore Śiva. Entrerai in quell’anuttara, il Cuore supremo, śūnya. È assolutamente puro śāktopāya

32. Lo yogi dovrebbe meditare nel suo cuore sui cinque vuoti1 dei cinque sensi, che sono come i cinque vuoti che appaiono nei cerchi2 delle piume variegate dei pavoni. In questo modo, sarà assorbito nel Vuoto Assoluto3.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Cinque vuoti o śūnya-pañcakam: Questo significa che il yogi dovrebbe meditare sulle cinque sorgenti ultime dei cinque sensi, ovvero i cinque tanmātra: il suono in sé, la forma in sé, ecc., che non hanno un’apparenza concreta e sono meri vuoti. […]
2. Cerchi – maṇḍala: Anche il termine maṇḍala ha un doppio significato. Nel caso del pavone, si riferisce ai cerchi delle sue piume; nel caso del yogi, si riferisce ai sensi. […]
3. Il Vuoto Assoluto è Bhairava, che è al di là dei sensi e della mente, al di là di tutte le categorie di questi strumenti. Dal punto di vista della mente umana, Egli è il Vuoto assoluto. Dal punto di vista della Realtà, Egli è pienezza assoluta, poiché è la sorgente di tutta la manifestazione.

Meditando sui Cinque Spazi come i cerchi colorati delle piume del pavone, si entra nel Cuore, lo Spazio Supremo.

Christopher D. Wallis

Ecco una versione semplificata e accessibile di questa antica pratica:

  • Campo Visivo: Iniziate osservando l’intero campo visivo simultaneamente, includendo anche la visione periferica. Non concentratevi sui dettagli, ma sulla totalità dell’esperienza visiva.
  • Esperienza Olfattiva: Chiudete gli occhi e spostate l’attenzione al senso dell’olfatto, percependo gli aromi presenti nell’ambiente o semplicemente concentrandovi sul respiro che fluisce attraverso le narici.
  • Transizione al Gusto: Gradualmente, fate confluire questa consapevolezza nel senso del gusto. Diventate consapevoli delle sensazioni nella bocca e sulla lingua.
  • Sensazioni Tattili: Espandete la consapevolezza all’intero campo delle sensazioni corporee – il contatto con i vestiti, la temperatura dell’aria, il movimento del respiro nel corpo.
  • Dimensione Sonora: Infine, lasciate che tutte queste sensazioni si fondano nel campo sonoro. Ascoltate non solo con le orecchie, ma con tutto il corpo, includendo anche il silenzio che fa da sfondo a ogni suono.

Il culmine della pratica, l’entrata nello “Spazio Supremo” (anuttara śūnya), associato al colore blu cobalto presente anche al centro della piuma di pavone e caratteristico di Śiva stesso, rappresenta nella tradizione tantrica il riconoscimento della natura fondamentale della coscienza stessa. Questo stato non è un vuoto nichilistico, ma piuttosto la fonte viva di ogni esperienza, ciò che i tantrici chiamano Bhairava, la coscienza pura e indifferenziata.

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 8 – Śloka 31

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L’ottava delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) descrive una pratica avanzata nota come Khecarī Mudrā, una tecnica esoterica che nel Tantra classico simboleggia il volo della coscienza oltre i limiti del corpo e della mente e che consente allo yogi di realizzare la propria natura onnipervasiva e libera, come un cielo senza confini.

Il verso 31 del Vijñāna Bhairava Tantra è un invito a trascendere i limiti della mente ordinaria e a sperimentare la propria essenza come pura coscienza. Sebbene questa pratica sia avanzata e richieda la guida di un maestro esperto, la sua descrizione offre ispirazione per approfondire la relazione tra respiro, energia e consapevolezza.

Come sempre, è essenziale affrontare queste tecniche con rispetto e prudenza, lasciandosi guidare dalla saggezza della tradizione e dall’esperienza diretta.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

31. Riempiendo rapidamente per mezzo di essa lo dvādaśānta, attraversatolo con quel ponte che è la contrazione delle sopracciglia, e resa così la mente priva di pensiero discorsivo, si invera, nel punto più alto di tutto, il sorgere dell’onnipervadenza.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue:

Con il pronome « essa » ci si riferisce alla potenza del soffio vitale, che vien meditata ascendente attraverso i cakra e sospinta verso l’ultimo, lo dvādaśānta, in virtù della contrazione delle sopracciglia (bhrūkṣepa) che, simile ad un ponte teso su di una corrente d’acqua, sospinge l’energia del soffio vitale nel supremo etere. In altri termini, la potenza del soffio vitale, prima di arrivare allo dvādaśānta, deve passare di là dalle sopracciglia, ‘traforare’ la ruota che si trova nel mezzo delle sopracciglia.

31. Avendo riempito (il corpo fino a) mūrdhānta con la stessa energia del respiro e attraversandolo come un ponte, contraendo le sopracciglia e liberando la mente dai pensieri, si diventa onnipervadenti nel più alto stato.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: Questo è il cammino dell’anavopāya senza successione. Il cammino precedente era quello con successione. […] con quella energia del prāṇa (respiro), devi riempire il corpo fino a Śakti, dopo aver sospeso il movimento del respiro […] devi concentrarti solo sul centro delle sopracciglia. […] Non è kumbhaka. È univocità. […] Dopo che è sospeso, devi fare in modo che la tua mente diventi completamente priva di pensieri […]
Quando sei in quello stato supremo di Signore Śiva […] significa che l’onnipervadenza splende. Egli diventa onnipervadente in quello stato supremo. Questo è il cammino dell’anavopāya perché devi praticare con il respiro. […] Quando c’è solo concentrazione sul vuoto, allora sarà sempre śaktopāya.

31. Riempendo il mūrdhānta (lo spazio della sommità della testa) con la stessa energia prāṇica e attraversandolo mediante la contrazione “ponte” delle sopracciglia (bhrūkṣepa), la mente deve essere liberata da ogni costruzione dicotomica. La coscienza ascenderà al di sopra del dvādaśānta, facendo emergere la sensazione di onnipresenza.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Mūrdhānta: Indica il dvādaśānta, situato sopra il brahmarandhra, uno spazio di dodici dita sopra il centro delle sopracciglia.
2. Bhrūkṣepa: Tecnica esoterica in cui la contrazione delle sopracciglia funge da ponte per trasformare l’energia prāṇica in citśakti, sollevando la coscienza a livelli superiori.
Questa pratica appartiene al percorso esoterico del śāktopāya.

Dopo aver riempito rapidamente (il corpo fino alla Cavità di Brahmā) sulla sommità della testa con quella (stessa energia del respiro vitale) e averlo attraversato (con) il ponte (formato dalla) contrazione delle sopracciglia, liberando la mente dal pensiero, l’onnipresente emerge sopra tutte (le cose).

Mark Dyczkowski

Avendo rapidamente riempito [il canale centrale] con quell’energia, e avendo poi sfondato la sommità della testa [o brahmarandhra] per mezzo della “diga” di concentrazione tra le sopracciglia, [e] avendo [in tal modo] liberato la mente dal suo pensiero incantato, si ascende allo stato onnipervasivo (vyāpinī) nel [luogo] al di sopra di tutto. 

Christopher D. Wallis

Un’immagine ricorrente nei commentari è quella della diga che blocca temporaneamente il flusso dell’acqua, per poi rilasciarla al momento opportuno. Qui la diga rappresenta il controllo del respiro e della concentrazione mentale, che accumulano energia fino al momento in cui questa viene rilasciata verso i centri superiori.

Nel Tantrāloka, Abhinavagupta ci informa che “di tutte le mudrā, la principale è l’eterovaga (khecarī)”e ne espone le numerose varietà trattate nei Tantra classici. In particolare descrive una pratica che ci ricorda quella del nostro śloka:

«Lo yoghin (così nel Mālinīvijaya), lo yoghin, postosi nella positura del loto, deve applicare la mente all’ombelico e quindi, in forma di asse, elevarla via via fino ai tre fori, dove, fermatala, deve poi di nuovo spingerla velocemente attraverso (gli altri) tre fori. Grazie all’esecuzione di questa mudrā lo yoghin vaga nell’etere»

Luce delle sacre scritture (Tantrāloka) di Abhinavagupta, XXXII, 10b-12a (a cura di Ranierio Gnoli) – UTET

Secondo i commentari classici, la pratica si svolge in tre fasi principali:

  1. Riempimento del canale centrale: Il praticante riempie il canale centrale con l’energia vitale (prāṇa-śakti) inspirando dalla base del busto (pavimento pelvico) fino al ponte del naso.
  2. Concentrazione tra le sopracciglia: Attraverso la tecnica di concentrazione sul terzo occhio (bhrūkṣepa) e la ritenzione del respiro (kumbhaka), la mente viene liberata da ogni pensiero.
  3. Ascesa dell’energia: Con un’espirazione controllata, l’energia rompe la “diga” a livello del ponte del naso e si eleva verso l’alto e verso l’esterno dalla sommità della testa, espandendosi in una consapevolezza infinita e onnipervadente.

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Letture e spunti Maestri Mantra Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 7 – Śloka 30

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La settima delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) lavora con un sistema di dodici cakra (centri energetici) associati a degli specifici fonemi e può essere considerata una pratica mantrica avanzata. Le vocali sanscrite, considerate sacre, sono viste come manifestazioni del suono primordiale (śabdarāśi) e come vibrazioni divine.

Per ciascun cakra oggetto di contemplazione si attraversano tre livelli di consapevolezza:

  • Grossolano (sthūla): in cui ci si focalizza sull’aspetto fisico o manifesto del cakra.
  • Sottile (sūkṣma): si percepisce il centro energetico come vibrazione o pulsazione.  
  • Supremo (para): si sperimenta il cakra come pura coscienza divina.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

30. Superando via via le dodici successioni, caratterizzate dai dodici fonemi, in base a una progressione di grosso, sottile, supremo, alla fine si invera Śiva.

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Commentato come segue:
I dodici fonemi meditati sui cakra sono A, Ā, I, Ī, U, Ū, E, AI, O, AU, AM, AH.
Questi fonemi si manifestano prima nel loro aspetto grosso, cioè percepibile all’udito, poi come potenze del nostro stesso pensiero ed infine come aspetti o organi della volontà divina, in corrispondenza coi tre stadi della parola o vocalità, cioè la parola corporea (vaikharī), la parola mezzana (madhyamā) e la parola veggente (paśhyantī).

30. Ci sono dodici centri successivi associati a dodici lettere, su cui ci si dovrebbe concentrare nei loro stati grossolano, sottile e supremo (rispettivamente). Trascendendo ciascun centro (successivamente), alla fine si realizza Śiva.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue:
[…] Esistono dodici stati successivi, krama-dvādaśakam, cioè un krama a dodici fasi. Questi dodici processi successivi, krama, sono spiegati nel commento. I punti sono: janmāgra, mūla, kaṇḍa, nābhi, hṛt, kaṇṭha, tālu, bhrūmadhya, lalāṭa, brahmarandhra, śakti e vyāpinī. […] Questi sono i dodici krama successivi, e questi dodici stati sono rappresentati dalle dodici vocali. […] Praticate e processate questi stati con consapevolezza grossolana, consapevolezza media e consapevolezza suprema.

30. Dodici centri di energia1 progressivamente più elevati associati a dodici lettere2 successive dovrebbero essere oggetto di appropriata meditazione. Ognuno di essi dovrebbe essere inizialmente contemplato in una fase grossolana, poi, abbandonata questa, in una fase sottile, e infine, lasciata anche questa, nella fase suprema, fino a quando il meditante si identifica completamente con Śiva.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. I dodici centri energetici successivi (krama-dvādaśakam) sono: 1 Janmāgra, 2 Mūla, 3 Kaṇḍa, 4 Nābhi, 5 Hṛdaya, 6 Kaṇṭha, 7 Tālu, 8 Bhrūmadhya, 9 Lalāṭa, 10 Brahmarandhra, 11
Śakti, 12 Vyāpinī. Questi sono conosciuti come dvādaśasthāna o i dodici stadi. Rappresentano le fasi dell’ascesa della kuṇḍalinī e corrispondono a dodici vocali.
I primi quattro stadi o stazioni o centri di energia sono inferiori (apara) e riguardano bheda o differenza:
I. Janmāgra: situato a livello dell’organo generativo, legato al janma (nascita). È conosciuto anche come janmādhāra (base della generazione) o janmasthāna (stazione coinvolta nella generazione).
II. Mūla: generalmente noto come mūlādhāra, il centro della radice, situato nella regione spinale sotto i genitali.
III. Kaṇḍa: una radice bulbosa o tuberosa, così chiamata per il suo intreccio di numerosi nervi.
IV. Nābhi: l’ombelico, vicino al Maṇipura cakra.
I cinque stadi successivi (parā-para) riguardano energie più sottili conosciute come bhedābheda:
V. Hṛd: il cuore.
VI. Kaṇṭha: la cavità alla base della gola.
VII. Tālu: il palato.
VIII. Bhrūmadhya: il centro tra le sopracciglia.
IX. Lalāṭa: la fronte.
Gli ultimi tre stadi riguardano energie sotto forma di parā o abheda:
X. Brahmarandhra: l’apice del cranio.
XI. Śakti: energia pura non costituente del corpo.
XII. Vyāpinī: l’energia che appare quando la kuṇḍalinī completa il suo viaggio.
2.Le dodici lettere successive sono le seguenti dodici vocali: a, ā, i, ī, u, ū, e, ai, o, au, am, aḥ. Queste vocali devono essere meditate nei suddetti dodici stadi della kuṇḍalinī.
Questa pratica (dhāraṇā) nella sua forma grossolana consiste in āṇavopāya, mentre nella sua forma sottile e suprema consiste in śāktopāya.

E nel concreto? Un suggerimento per la pratica potrebbe essere il seguente:

  • Siediti in una posizione stabile e confortevole. Mantieni la schiena dritta e il corpo il più immobile possibile.  
  • Chiudi gli occhi e rilassati, lasciando che il respiro fluisca naturalmente.  
  • Visualizza ciascuno dei dodici cakra, uno alla volta, dalla base alla sommità, come una sfera luminosa, intonando la vocale sanscrita corrispondente ad alta voce, focalizzandoti sull’energia e sulla vibrazione.  
  • Ripeti la pratica in silenzio, lasciando che le vocali risuonino interiormente come una pulsazione sottile, cercando di percepire la qualità energetica di ogni vocale in ciascun cakra.  
  • Alla fine, visualizza tutti i dodici cakra insieme, brillanti, purificati e pieni di luce, mantenendo la consapevolezza simultanea di tutti i cakra.

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.

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Buone cause

Un dono per il Mustang

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Il Monastero della Grotta del Sole: un faro di cultura e speranza nel Mustang

Il Monastero della Grotta del Sole (di cui avevamo già parlato in questo articolo), noto anche come Nyphug Gompa, è un antico monastero buddhista tibetano situato nella regione dell’Upper Mustang, in Nepal. Fondato 800 anni fa dal principe e santo buddhista Lo Khenchen, il monastero ha avuto origine dalle grotte utilizzate per i ritiri spirituali, da cui deriva il nome “Grotta del Sole”. 

La presenza del monastero è fondamentale per la conservazione della cultura e dell’identità del popolo Mustangi, poiché il buddhismo è strettamente intrecciato con la loro vita quotidiana. Inoltre, l’80% dei bambini accolti proviene da famiglie estremamente povere; senza il supporto del monastero, non avrebbero un futuro. 

Per garantire un ambiente più adatto ai giovani monaci, soprattutto durante i rigidi inverni del Mustang, è stata istituita una scuola monastica nella zona più temperata di Pokhara. Tuttavia, la recente costruzione di un aeroporto internazionale nelle vicinanze rappresenta una nuova sfida, rendendo urgente il trasferimento della scuola in una zona rurale più sicura e salubre. 

Il sostegno di 4’33” Yoga & Percussioni

In questo periodo natalizio, 4’33” Yoga & Percussioni è lieto di annunciare una donazione di € 600 a favore del Monastero della Grotta del Sole. Questo contributo è stato possibile grazie alla partecipazione attiva e al sostegno di tutti i membri e partecipanti alle nostre attività.

La donazione mira a supportare i progetti del monastero. Siamo convinti che l’educazione e la preservazione culturale siano pilastri fondamentali per il futuro delle nuove generazioni, e siamo onorati di poter contribuire a questa causa.

Un ringraziamento speciale

Desideriamo esprimere la nostra profonda gratitudine a tutti coloro che hanno partecipato alle nostre attività, rendendo possibile questo gesto di solidarietà. Il vostro impegno e la vostra generosità hanno un impatto reale e positivo nella vita dei giovani monaci del Monastero della Grotta del Sole.

Per sapere di più sul monastero e sulle sue attività, vi invitiamo a visitare il loro sito web: 

Il Monastero Della Grotta Del Sole

Inoltre potete seguire gli Amici del Monastero SunCave sul gruppo Facebook dedicato:

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Grazie di cuore per il vostro sostegno che ancora una volta rende il Natale ancora più buono!

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Letture e spunti Maestri Yoga & Meditazione

Vijñāna Bhairava – Dhāranā 6 – Śloka 29

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La sesta delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) descrive un’esperienza meditativa in cui l’energia divina, chiamata śakti, si muove attraverso i centri sottili (cakra) del corpo in una sequenza ascendente. L’energia è visualizzata o percepita come un lampo, rapido e vibrante, che collega ciascun cakra al successivo fino a raggiungere il dvādaśānta. Quest’ultimo si trova a circa dodici dita, o tre pugni, sopra la corona della testa.

La conclusione del movimento energetico porta alla “Grande Alba” (mahodayā), un termine che allude a uno stato di liberazione spirituale, risveglio completo o illuminazione. Questo processo non è solo simbolico, ma può essere vissuto come un’esperienza concreta.

Il verso evidenzia la natura dinamica del percorso energetico e riflette l’essenza del tantrismo: utilizzare il corpo e il sistema energetico come strumenti per trascendere la dualità e accedere a stati di unità divina.

Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.

29. [Questa potenza giova meditarla] ascendente, simile a un lampo, via via attraverso le varie ruote, su su fino allo dvādaśānta: così, alla fine, si invera il grande sorgere [di Bhairava).

Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989

29. (Si mediti su) la Śakti ascendente nella forma di un lampo, mentre si muove verso l’alto da un cakra all’altro fino a raggiungere dvādaśānta. Alla fine si manifesta il grande Risveglio.

Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Commentato come segue: La Śakti sorge, udgacchantīṃ, e appare nella forma di un lampo. Essa non si muove direttamente dal mūlādhāra al brahmarandhra, ma ascende in maniera successiva (praticakram). Questo è il movimento del prāṇa-kuṇḍalinī. Ad esempio, sale dal mūlādhāra-cakra al cakra dell’ombelico [nābh], dall’ombelico al cuore [hṛdaya], dal cuore alla gola [kaṇṭha], dalla gola al bhṛūmadhya, e dal bhṛūmadhya al brahmarandhra.

29. Medita su quella stessa Śakti simile a un lampo (cioè Kuṇḍalinī), che si muove verso l’alto passando successivamente da un centro di energia (cakra) all’altro, fino a tre pugni sopra, ovvero dvādaśānta. Alla fine, si può sperimentare la magnifica ascesa di Bhairava.

Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
Annotato come segue:
1. Questo dvādaśānta si riferisce anche al brahmarandhra.
2. Qui si descrive l’ascesa della Kuṇḍalinī che, perforando successivamente tutti i cakra o centri di energia, alla fine si dissolve nel brahmarandhra. Questo processo è noto come prāṇa-kuṇḍalinī.
La differenza tra questa dhāraṇā (tecnica meditativa) e quella precedente consiste nel fatto che, in questa pratica, la Kuṇḍalinī si muove successivamente attraverso i cakra e alla fine si dissolve nel brahmarandhra, mentre nella precedente dhāraṇā, la Kuṇḍalinī sorge direttamente dal mūlādhāra al brahmarandhra e si dissolve in esso senza passare attraverso i cakra intermedi.
Jayaratha cita questa tecnica nel suo commento al Tantrāloka (v. 88). Questo è śaktopāya.

29. (Contempla Kuṇḍalinī, il potere del respiro vitale) nella forma di un lampo, che ascende attraverso ciascun Cakra (uno dopo l’altro) in ordine, fino al limite superiore dei Dodici, finché, alla fine, avviene il Grande Risveglio!

Mark Dyczkowski

Immagina la Śakti che sorge come un lampo, passando da un centro sottile (cakra) al successivo in successione. Quando raggiunge il centro più alto, tre pugni sopra la corona, si verifica la Grande Alba della liberazione [e prosperità].

Christopher D. Wallis

Nessuna frustrazione se inizialmente non si sente nulla di concreto. La pratica usa l’immaginazione come strumento per focalizzare la coscienza, creando una “mappa” che l’energia seguirà. La frequentazione regolare di questa dhāranā consentirà la transizione dall’immaginazione ad una esperienza diretta chiara e palpabile.

Per ulteriori approfondimenti circa l’ascesa di Kuṇḍalinī è possibile fare riferimento al Tantrāloka di Abhinavagupta e al suo commento, il Tantrālokaviveka di Jayaratha (in particolare versi 88 e 89).

Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.