La quindicesima delle 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) ci parla di una dimensione sottile ma profondamente trasformativa della nostra esperienza sonora: il suono anāhata, letteralmente “non percosso”.
anāhate pātra-karṇe ’bhagna-śabde sarid-drute |
śabda-brahmaṇi niṣṇātaḥ param brahmādhigacchati || 38 ||
Ecco alcune traduzioni e relativi commenti.
Commentato come segue:38. Colui che è sperimentato nel brahman-suono inarticolato, non percepibile all’udito, ininterrotto, corrente come un fiume, raggiunge il supremo brahman.
Vijnanabhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
Il verso « Colui che è sperimentato nel brahman-suono … raggiunge il supremo brahman » è tratto dalla Maitrī-upaniṣad, VI, 22: « Bisogna sapere che vi sono due brahman, uno supremo e l’altro inferiore. Colui che è… », ecc.
Il brahman-suono è il principio da cui, secondo la scuola dei grammatici indiani (Bhartṛhari, ecc.), procedono, per trasformazione (vivarta), tutte le cose. Mentre però per essi questa ‘trasformazione’ del brahman nella realtà oggettiva, nelle varie cose e parole, è essenzialmente illusoria, per gli śivaiti, che accolgono parzialmente le concezioni dei grammatici, le cose che procedono dal brahman-suono sono reali. La suprema parola (parā vāc) si attua come suprema proprio attraverso la molteplicità. Da essa procedono i tre piani della parola veggente (paśyantī), della parola mezzana (madhyamā) e della parola corporea (vaikharī). Nel primo, che corrisponde alla potenza di volontà, tutte le future differenziazioni sono contenute in nuce; nel secondo, espressione della potenza di conoscenza, le varie cose sono presenti come pensiero; e nel terzo, corrispondente alla potenza d’azione, l’oggettività si manifesta in tutta la sua pienezza.
Commentato come segue: Il suono che non è percosso è chiamato anāhata, pātrakārṇe significa ciò che è udito dalle tue stesse orecchie. Non proviene da fonti esterne. Oppure se non puoi meditare sul suono anāhata, o abhagna-śabde, puoi meditare su qualsiasi suono prodotto senza interruzione, per esempio il suono di una cascata […] che scorre a grande velocità, a grande impeto.[…] Nessun mantra, nessuna recitazione, nessun esercizio di respirazione. Concentrati semplicemente su quel suono o sulla continuità di quel suono della cascata o anāhata-śabda. Ad esempio, se metti le dita sull’orecchio trovi anāhata-dhvani, se metti le mani a forma di coppa, sentirai la continuità di quel suono. Contempla semplicemente quel suono. Questo è puro śaktopāya.38. Raggiunge il supremo Brahman colui che è profondamente immerso nel Brahman-che-è-Suono (śabdabrahman), che vibra all’interno, senza percussione e viene percepito dall’orecchio; questo suono è ininterrotto come quello di una cascata.
Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
Annotato come segue:38. Colui che è profondamente versato e profondamente immerso1 o intriso nel Nāda che è Brahman nella forma di suono (śabdabrahmani niṣṇātaḥ), che vibra all’interno senza alcun impatto (anāhate)2, che può essere udito solo dall’orecchio che diventa competente tramite lo yoga (pātrakārṇe)3, che continua a suonare ininterrottamente (abhagnaśabde) e che scorre impetuosamente come un fiume (sariddrute) raggiunge il Brahman (brahmātibhigacchati).
Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
1. C’è un doppio intendimento in niṣṇāta. Significa sia ben versato che ben immerso (ni-snāta) cioè profondamente intriso.
2. Anāhata nāda letteralmente significa suono non percosso. È un suono che continua a vibrare dentro spontaneamente senza alcun impatto. Circa dieci tipi di nāda (suono) che vibrano internamente diventando sempre più sottili sono menzionati nei libri sullo Yoga. Qui il riferimento è al nāda più sottile che vibra nella prāṇaśakti presente nella suṣumna. La Prāṇaśakti è, nell’universo, rappresentante della paraśakti, la śakti del Parama Śiva. È l’energia eterna della coscienza, lo spanda spirituale. Quando la Kuṇḍalinī si eleva, si è in grado di udire questo. Lo yogī deve concentrarsi su questo suono che all’inizio è come quello di una campanella, poi più sottile come quello di un flauto, poi ancora più sottile come quello della vīṇā, e quindi più sottile come il ronzio di un’ape. Quando lo yogī si concentra su questo nāda, dimentica tutto del mondo esterno, si perde gradualmente nel suono interno ed è infine assorbito nel cidākāśa, cioè nella vasta distesa della coscienza. Questo è ciò che si intende quando si dice che raggiunge il Brahman. Questo tipo di yoga è conosciuto come varṇa nell’Aṇava upāya dello Śaiva yoga, come nādānusandhāna in alcune delle upaniṣad più antiche e nella tradizione Nātha, e suratī śabda yoga in Kabira e altri santi medievali.
3. Pātrakārṇe significa che questo suono spontaneo interiore non è udibile da ogni orecchio ma solo dall’orecchio che è reso competente per udirlo sotto la guida di un guru.
Questo è un Aṇava upāya.
Colui che è immerso nell’Assoluto-che-è-vibrazione (śabda-brahman), nell’ininterrotto suono non percosso, [come] un fiume impetuoso nel vaso dell’orecchio, raggiunge il supremo Brahman.
Christopher D. Wallis
Anāhata è il termine utilizzato per descrivere il cakra del cuore (anāhata-cakra), il centro energetico dove si dice che la risonanza primordiale del sacro suono OṂ risieda permanentemente, che siamo in grado di percepirla o meno. Viene chiamato “non percosso” perché, a differenza di tutti gli altri suoni che conosciamo, non origina dal contatto tra due oggetti. I suoni ordinari richiedono sempre un impatto: le corde vocali che vibrano, le dita che pizzicano una corda, l’aria che colpisce un flauto. L’anāhata, invece, è una vibrazione che sorge spontaneamente come tono fondamentale dell’esistenza stessa.
Questo verso ci suggerisce che attraverso l’ascolto profondo possiamo sintonizzarci con questa vibrazione universale, il fondamento sonoro dell’esistenza, conosciuto nella tradizione tantrica come śabda-brahman (il Suono-Assoluto), nāda (risonanza pura), o praṇava (il “ronzio cosmico”).
Ciò che rende speciale questa risonanza è la sua natura onnipresente e non-locale: non è semplicemente un suono interno, ma pervade l’intero campo dell’esistenza, manifestandosi in una forma sottile che può essere percepita quando la mente diventa sufficientemente calma e ricettiva.
Sebbene il verso originale sembri descrivere più un risultato che una tecnica, possiamo elaborare un esempio di pratica ispirata al verso:
- Preparazione: Trova un luogo tranquillo dove non sarai disturbato. Siediti in una posizione comoda, con la schiena dritta ma rilassata.
- Connessione con l’orecchio: Porta delicatamente le mani alle orecchie, chiudendole parzialmente. Puoi anche usare un gesto simile a quando ascolti una conchiglia marina: porta il palmo della mano a coppa vicino all’orecchio senza toccarlo direttamente.
- Ascolto sottile: Con gli occhi chiusi, porta l’attenzione al sottile rumore che puoi percepire, che potrebbe assomigliare al suono di un fiume lontano o al respiro dell’oceano in una conchiglia.
- Espansione dell’ascolto: Man mano che ti sintonizzi con questo suono, realizza come non provenga solo dalle tue orecchie, ma sia presente ovunque. Ascolta come se tutto il tuo corpo fosse un organo uditivo.
- Dissoluzione dei confini: Lascia che la tua percezione del suono si espanda gradualmente oltre i confini del corpo, fino a includere lo spazio intorno a te. Percepiscilo come un campo di vibrazione onnipresente.
- Immersione totale: Quando sei completamente assorbito nell’ascolto, lascia andare persino lo sforzo di ascoltare. Diventa uno con il suono – “immerso” nell’Assoluto-che-è-vibrazione.
Nota: Le citazioni, eccetto quella di Sironi, sono state tradotte in italiano dalla sottoscritta a partire dall’originale in inglese.