Riconoscere che siamo già realizzati, in quanto forma del divino che si manifesta, può sembrarci un obiettivo irraggiungibile e vagamente autoreferenziale. Ma le 112 tecniche che ci propone il Vijñāna Bhairava (per una introduzione al testo leggi qui) ci guidano nello svelamento di questa perfezione nascosta dalla “densità” del reale. Prendiamo in considerazione la prima di queste dhāranā, attingendo a varie traduzioni e commenti.
Commentato come segue: L’emissione (visarga), corrispondente nell’alfabeto sanscrito all’inspirata muta H e qui identificata con la Dea, è il principio che dà origine al movimento respiratorio, costituito dal prāna, il soffio che ascende durante l’espirazione dal cuore allo dvādaśānta, e dall’apāna, il soffio che discende durante l’inspirazione dallo dvādaśānta al cuore.Vijnana bhairava. La conoscenza del tremendo – A. Sironi (Curatore) Adelphi, 1989
- In alto il soffio ascendente, in basso il soffio discendente. [Il soggetto che] proferisce [è la stessa] Dea, essenziata di emissione. Nel luogo della duplice nascita, si ha, in ragione dell’onnicomprensione, lo stato onnicomprensivo.
Il visarga ha, nelle scuole śivaite, molteplici sensi e connotazioni: 1) visarga, metafisicamente, è l’emissione divina, l’atto della creazione; 2) visarga, fisicamente, è l’emissione seminale; 3) visarga, fonicamente, è l’emissione muta H, che simboleggia l’emissione o creazione del tutto.
Con l’espressione “luogo della duplice nascita” ci si riferisce al cuore e allo dvādaśānta, nei quali nascono e si estinguono i due soffi vitali, il prāna e l’apāna.
Nel momento in cui l’un soffo si è estinto e l’altro non è ancora sorto, cioè nel momento iniziale precedente ogni inspirazione ed espirazione, può inverarsi, nello yogin, un’esperienza o stato di coscienza di pienezza, « onnicomprensione», che contiene dentro di sé tutti i successivi movimenti della coscienza.
Commentato come segue: Bhairavasya sthitih syāt: uno diventa uno con Bhairava a causa della Sua pienezza. Questo è collegato con ānavopāya. Non può essere śaktopāya o śāmbhavopāya, è ānavopāya, perché funziona nel campo oggettivo della coscienza. Devi portare il respiro dal cuore a dvādaśānta e riportarlo dal dvādaśānta al cuore nuovamente e recitare prāna e jīva. Recitare prāna significa recitare “sa” nel dvādaśānta esterno e amkāra di “ha” sarà recitato nel cuore. Quando il tuo respiro entra, finirà in “am”, quando lo espelli, finirà nel visarga: “sah” e se ti concentri su questi due punti di partenza, diventerai uno con Bhairava a causa della Sua pienezza. [Questo costituisce il mantra so’ham, “Io sono Lui”.] Questo è ānavopāya.Vijnana Bhairava: The Practice of Centring Awareness – Swami, Lakshman Joo – Indica Books, 2003
- Bhairava rispose: L’espirazione (prāna) dovrebbe ascendere e l’inspiro (jīva) dovrebbe discendere, (entrambi) formando un visarga (composto da due punti). Il loro stato di pienezza (si trova) fissandoli nei due luoghi di (loro) origine.
Annotato come segue:Vijnanabhairava or Divine Consciousness: A Treasury of 112 Types of Yoga – Jaideva Singh
- Bhairava dice:
Para devi o Śakti Suprema che è della natura di visarga1 continua (incessantemente) a esprimersi verso l’alto (ūrdhve) (dal centro del corpo a dvādaśānta2 o una distanza di dodici dita) sotto forma di espirazione (prāna) e verso il basso (adhah) (da dvādaśānta al centro del corpo) sotto forma di inspirazione (jīva o apāna)3. Con la fissazione costante della mente (bharanāt)4 nei due luoghi della loro origine (vale a dire, centro del corpo nel caso di prāna e dvādaśānta nel caso di apāna), c’è la situazione di pienezza (bharitāsthitih che è lo stato di parāśakti o natura di Bhairava)5.
1. Visargātmā – che è della natura di visarga. La parola visarga significa lasciar andare, proiezione o creazione, cioè chi è creativo. La funzione creativa del Divino include due movimenti: verso l’esterno e verso l’interno o centrifugo e centripeto. Negli esseri viventi, il movimento verso l’esterno o centrifugo è rappresentato dall’espirazione o esalazione; il movimento verso l’interno o centripeto è rappresentato dall’inspirazione o dall’inalazione. Parā o parā devī o Parā śakti è designato come visargātmā, perché è con questo ritmo di movimento centrifugo e centripeto che porta avanti il gioco della vita sia nel macrocosmo che nel microcosmo. Questo movimento è noto come uccāra o spandana o incessante pulsare di Parādevī. In sanscrito, visarga è rappresentato da due punti uno sopra l’altro. Un punto in questo caso è dvadasanta dove termina prana e l’altro è hrt o centro del corpo dove termina apāna. È per questi due punti che Parāśakti è conosciuta anche come visargātmā.
2. Dvādaśānta, che letteralmente significa “fine di dodici”, indica il punto a una distanza di 12 dita dalla punta del naso nello spazio esterno dove termina l’espirazione che nasce dal centro del corpo umano e passa attraverso la gola e il naso. Questo è noto come bāhya dvādaśānta o dvādaśānta esterno.
3. L’apāna o inalazione è chiamata jīva, perché è l’inalazione o il movimento di ritorno del respiro che è responsabile della vita.
4. Bharanāt qui significa tramite osservazione ravvicinata o consapevolezza univoca. Consapevolezza di cosa? Sivopādhyāya nel suo commento chiarisce questo punto nel modo seguente:”Bharanāditi qui significa con un’intenta consapevolezza di ciò che implicitamente è il lampo iniziale sempre risorto della śakti di Bhairava.”
5. La dhāranā o la pratica yogica a cui si fa riferimento in questo verso è la seguente:
Ci sono due punti o poli tra i quali la respirazione continua costantemente. Uno di questi è dvādaśānta nello spazio esterno dove prāna o espirazione finisce e l’altro hrt o il centro all’interno del corpo dove apāna o inspirazione finisce. In ognuno di questi punti, c’è viśrānti o riposo per una frazione di secondo. Il respiro non si ferma effettivamente lì del tutto, ma rimane nella forma di un palpito di śakti in animazione sospesa e poi di nuovo inizia il processo di respirazione. Si dovrebbe contemplare śakti che appare nel periodo di riposo e si dovrebbe rimanerne consapevoli anche mentre inizia il processo di respirazione. Con la pratica costante di questa dhāranā si realizzerà lo stato di pienezza di Bhairava (bharitā sthitih).
Poiché questa pratica è senza alcun supporto di vikalpa, è Śāmbhava upāya.
C’è un’altra importante interpretazione di questa dhāranā. Nell’inspirazione, viene prodotto il suono ha; nell’espirazione, viene prodotto il suono sah; nel punto di giunzione al centro si aggiunge il suono m. Quindi l’intera formula diventa Hamsah. Parādevī continua a suonare questa formula o mantra incessantemente in ogni essere vivente. Hrdaya o il centro è il punto di partenza del suono ha e dvādaśānta è il punto di partenza del suono sah. Contemplando questi due punti, si acquisisce la natura di Bhairava. Questo sarebbe ānava upāya. Sah rappresenta Śiva; ha rappresenta Śakti; m rappresenta nara. Quindi in questa pratica, tutti e tre gli elementi principali della filosofia Trika, vale a dire, Śiva, Śakti e Nara sono inclusi.
Commentato come segue: Quando inspiri, osserva. Per un solo istante, per un attimo infinitesimale, non c’è respiro: prima che risalga, prima che fuoriesca. Un respiro entra, poi c’è un punto in cui si arresta. Poi il respiro fuoriesce e allora, per un istante, un attimo infinitesimale, si arresta. Poi di nuovo entra. Prima che il respiro entri, o prima che esca, vi è una frazione minima di tempo in cui non stai respirando. In quell’istante può accadere l’evento trascendente, perché quando non respiri, non sei nel mondo. Lo si deve comprendere profondamente: quando non stai respirando, sei morto; tu esisti, questo è vero, ma come fossi morto. Ma quell’istante è di così breve durata che non lo si nota mai. Per il Tantra ogni respiro che fuoriesce è una morte, e ogni nuovo respiro è una rinascita. Il respiro che entra è una rinascita, quello che fuoriesce è una morte. Il respiro che esce è sinonimo di morte, quello che entra, di vita.O radiosa, questa esperienza può albeggiare tra due respiri. Dopo che il respiro è venuto dentro e appena prima che si rivolga in su – il beneficio.
Il libro dei segreti – Osho – Bompiani, 2013
Perciò con ogni respiro muori e rinasci. L’intervallo tra i due è molto breve, ma un’acuta, sincera osservazione e un’attenzione cosciente te lo faranno percepire. Se riesci a percepirlo, dice Shiva: “Il beneficio”. In quel caso non dovrai fare nient’altro: la beatitudine ti avvolge, hai compreso, hai colto l’eterno. Non occorre educare il respiro. Lascia che scorra liberamente. E’ sufficiente una tecnica così semplice per conoscere la verità?
Sembra semplice! Conoscere la verità significa conoscere ciò che non è nato e che non muore mai, conoscere quell’elemento eterno che esiste sempre. Comunemente si conosce il respiro che esce e che entra, mai l’intervallo tra i due. Prova. All’improvviso comprenderai, è possibile: esiste già. Non devi aggiungere nulla a ciò che sei: tutto è già presente, tranne una sottile consapevolezza. Per praticare questa tecnica, per prima cosa diventa consapevole del respiro che entra. Osservalo. Dimentica ogni cosa: osserva solo il respiro che entra. Sentilo, quando tocca le tue narici. Poi lascialo discendere e muoviti con esso in piena coscienza. Non perderlo, mentre discende: scendi con esso. Ricordati solo di non precederlo e di non restare indietro. Devi solo accompagnarlo. Ricordati: muoviti in simultanea! Respiro e coscienza devono diventare un tutt’uno. Quando il respiro entra in te, anche tu dovresti entrare dentro di te, solo così sarà possibile cogliere il punto d’arresto tra i due respiri. Non sarà facile. Entra con il respiro, poi esci con il respiro: dentro-fuori, dentro-fuori. Fu il Buddha, in particolar modo, a usare questo metodo, pertanto nel mondo lo si conosce come un metodo buddista. Nella terminologia buddista è noto come anapanasati yoga.
L’energia suprema, la cui natura è creare, si manifesta nella respirazione. Mantieni la mente nei due punti di origine dell’inspirazione e dell’espirazione e conosci la pienezza.
La via del reale. Yoga tantrico – Ritorno a sé – Nathalie Delay – OM, 2023
Non rimane che l’invito a praticare, secondo la propria sensibilità.